La settimana successiva alla pubblicazione dell’articolo intitolato Dopo 25 anni, sul n. 17 del 27 Aprile 1895 e in prima pagina, La Vita del Popolo ritorna con toni polemici sull’argomento del sequestro del settimanale.
Come tutti sanno, il Procuratore del Re presso il Tribunale di Treviso, ha creduto di ravvisare nel nostro articolo dell’ultimo numero dal titolo “Dopo 25 anni”, il delitto previsto dall’art. 24 dell’Editto sulla stampa, che condanna la provocazione all’odio fra le varie condizioni sociali: e di conseguenza ne ordinò il sequestro, perché vi avevamo stampato che dal 20 settembre del ’70 in qua chi, in Italia, sta meglio sono i framassoni e i loro rettili, e chi sta peggio è il povero popolo che suda e stenta tutto il santo giorno guadagnandosi a mala pena polenta e… pellagra.
L’opinione del pubblico anche di gente avversaria e niente affatto benevola alla “Vita del Popolo” dopo la lettura dell’articolo incriminato, si manifestò subito contraria all’operato del Regio Procuratore; e la stessa Gazzetta di Treviso, per solito allegra matta quando si tratta di dare addosso a noi poveracci, questa volta ebbe il pudore di registrare, senza neanche una parolina di commento l’avvenuto sequestro.
La ragione è ben chiara. Nessuno s’è mai sognato fin qua – all’infuori dell’on. Braida – che i commendatori della terza civiltà (vulgo Tanlongo e compagnia) – e così dicasi dei framassoni, dei patriotti della grippia, e simili lupe – formassero una classe e tanto meno una condizione sociale; quando il nostro egregio Procuratore non volesse creare una condizione sociale nuova, chiamandovi a far parte tutti i ladri in guanti gialli.
Tutto il succo e le mire del nostro articolo erano qui: “Quest’anno, venticinquesimo dalla breccia di Porta Pia, i framassoni vogliono festeggiare un avvenimento funesto pel popolo italiano (come di recente ha confessato, con non piccolo coraggio, perfino il co. Macola): dunque il popolo italiano da tali festeggiamenti si deve astenere e deve invece pregare e fare la Comunione pel Papa e per la pacificazione dell’Italia col Papa, nella prossima festa giubilare del Patrocinio di S. Giuseppe.
Se, per aver detto e ripetuto questo, c’è colpa, l’egregio Procuratore ci sequestri di nuovo – e noi torneremo da capo, magari cento volte.
Sicuro che al popolo le verità bisogna dirle schiette e tonde, nude e crude, come ci ingegniamo di dirle noi; ma ci ascriverete a colpa il far ciò? Vorreste adunque che il popolo non legga, o non intenda, o non sappia? Vorreste ricacciarlo nelle tenebre del medio evo, voi banditori illustri dell’infinito progresso? Luce ci vuole! – e noi la facciamo.
Soltanto d’una cosa ci siamo fatti meraviglia e questa è che il Regio Procuratore, tanto studioso delle cose dolci e gentili, non abbia infiorato il suo Ordine di sequestro con qualche citazione dei Promessi Sposi. Poiché questa volta gli volevamo rispondere colle parole stesse del Manzoni che “anche quelli che non sono proprio quel che si dice signori, se hanno più del necessario, sono obbligati di farne parte a chi patisce.”
Il signor Procuratore l’altra volta nella sala delle udienze, farisaicamente ha citato la prima parte del periodo manzoniano, dove al popolo che soffre si rammenta che “anche in tempo di carestia bisogna essere contenti”; ma si guardò bene dal ricordare l’ultima parte del periodo stesso che intima ai ricchi e ai borghesi l’obbligo – l’obbligo! – di far parte del superfluo a chi patisce.
Stiamo per scommettere che se l’on. Braida rileggesse con intento acume quel periodo, per poco non manderebbe dal libraio Zoppelli a sequestrare tutti i Promessi Sposi.
Basta; il sequestro è consumato, il grande fatto è compiuto! e ormai sulle porte di certe Regie Procure si potrà stampare la scritta: “Ufficio della S. Inquisizione a profitto dei fratelli trepuntini”.
Ci abbiamo una sola speranza ancora, ed è che nell’aula del Regio Tribunale si trovano ancora il Cristo e il buon senso degli integerrimi magistrati.