Storia Dentro la Memoria


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Testamenti di ricchi e poveri a Sant’Anna Morosina nella seconda metà del ‘700

I testamenti offrono molteplici possibilità di lettura perché, oltre la consistenza delle sostanze lasciate in questo mondo, permettono di comprendere le simpatie del testatore, le sue preoccupazioni e i vincoli di sangue. Tra i molti testamenti raccolti e rogati dal notaio Iseppo Antonio Breda, figlio del cancelliere Bortolo, in svariati paesi dell’Alta Padovana e soprattutto nel Palazzo Cappello di Galliera Veneta, molti spiccano per la sensibilità e i sentimenti che vi traspaiono. Non sarà inutile provare ad avvicinarsi al mondo dei testatori sangiorgesi e in particolare di Sant’Anna, con particolare riferimento alla casistica dei poveri.

Notaio

I maschi, siano essi ricchi o poveri, sono maggiormente preoccupati del luogo della sepoltura, della spartizione dell’eredità fra i figli e i nipoti, quasi a volere nascondere i sentimenti che traspaiono durante la dettatura del testamento, dietro le pieghe di un formulario rigido e di routine. Le donne, al contrario, si distinguono in due gruppi netti: le benestanti, che preferiscono non esternare sentimenti verso i consorti, mantenendo quasi un certo distacco e le povere, o di censo modesto, che, invece, appaiono assai preoccupate di dimostrare riconoscenza ai mariti, di non tradire le loro attese, arrivando al punto di bloccare ogni pretesa dei parenti di ritornare in possesso della dote sponsale in assenza di prole. Le donne povere, o con patrimonio personale modesto che fanno testamento, si percepiscono senza dubbio su uno scalino sociale più basso dei consorti, ma testimoniano un legame sponsale forte, che è stato magari affinato dai periodi di lunga malattia che precedono le ultime disposizioni e il decesso. Si accontentano di poco, chiedono solamente di essere ricordate nelle preghiere dei mariti e si dichiarano fortunate quando sono state trattate umanamente, arrivando al punto di personalizzare uno strumento giuridico rigido come il testamento. E’ il loro modo dimesso e pudico di dichiarare al notaio un sentimento d’amore e di gratitudine che oggi, a distanza di secoli, potrebbe far sorridere taluni, ma che conserva intatto il valore di esistenze e rapporti coniugali vissuti nella fatica e cancellati dal tempo, che passa inesorabile sopra le teste di tutti.

Pergamena

La serie inizia con Maria Maddalena del fu Biasio Mariotto, moglie di Gasparo Giopo del fu Francesco, la quale, testando nel 1771 a S. Giorgio in Bosco, dopo avere disposto un legato di 30 messe, lascia erede il marito precisandone i motivi: “in premio della continua asistenza che sempre mi prestò, e in risarcimento delle spese che ha per me incontrato”. Qualche anno dopo, a tenere banco sono le preoccupazioni della benestante e giovane signora Antonia Lanoli, figlia d’Antonio e moglie del nobile Andrea Anselmi del fu Francesco. Dettando il proprio testamento nel 1776, la donna lasciava erede universale il marito, senza però esternare nulla nei suoi confronti perché la sua preoccupazione era tutta riservata alla creatura che portava nel grembo: se fosse sopravvissuta l’eredità le sarebbe spettata completamente, compresa la dote sponsale.

Francesca da Lobia, figlia di Giacomo Martin, che aveva racimolato qualche modesta sostanza dopo una vita di stenti, prima di morire chiama il cancelliere di Sant’Anna, decidendo di lasciare tutto al marito Bastian Priore del fu Giacomo ritenendosi fortunata: “et ciò facio per l’amor, che le porto, et per l’obbligationi, che tengo con esso, e per avermi sempre tratato bene, et aver speso tanto per me, et particullarmente nella presente mia malatia pregandolo pure di ricordarsi di me nelle sue orationi e di raccomandarmi al Signor Iddio”.

Analogo tenore si riscontra per la povera Maria Badante del fu Domenico, che a Lobia accoglie il notaio di Sant’Anna “in un casone”. Pure lei decide di lasciare ogni cosa al marito Angelo Pinton di Zuanne, detto Ereno, “e ciò facio per il puro amore, che le porto, et anco per dovere, essendo da mesi sette circa, che mi ritrovo ammalata, e che mi governa con grandissima carità, et amore, et con una grandissima spesa”.

Dello stesso stile è il testamento di Bertola Frasson del fu Angelo, da villa Ramusa, che precisa di essere stata sposata due volte: la prima con Angelo Pavanello, la seconda con Angelo Zaninato al quale lascia le sue povere cose.

piazza Sant'Anna M

La piazza di Sant’Anna Morosina nel 1810 col palazzo Morosini.

 

Quando i testamenti sono dettati dalle vedove, tutta l’attenzione si riversa sui figli e sui nipoti. E’ il caso della benestante Vendramina Favero, vedova di Bernardo Dorella del fu Andrea da Galliera, che lo stesso giorno in cui decide di fare testamento nomina prima come procuratori i signori Giovanni Petrachini da Bolzonella e Gioachino Fabris, detto Squarzon, del fu Simon per riscuotere tutti i suoi crediti. Di seguito, ordina al cancelliere di redigere le sue ultime volontà prevedendo 100 messe da celebrare nel primo anno dopo il decesso e d’essere sepolta nel cimitero di Sant’Anna. Il suo patrimonio, una volta effettuato il recupero dei crediti, desidera che sia lasciato alle figlie e ai nipoti. Aveva avuto cinque figlie, tutte maritate, ma da alcuni anni due di loro, Domenica e Paolina, erano defunte perciò decideva che le sue sostanze fossero divise in tre parti uguali fra le tre figlie viventi: Fiorenza, Giovanna e Maria Antonia. Il notaio se ne va, ma dopo qualche ora è richiamato dalla Favero perché intende modificare una parte del testamento facendo aggiungere un codicillo col quale ordina che le sue sostanze siano divise in cinque parti uguali e non più in tre, in modo che anche i nipoti, orfani delle figlie Domenica e Paolina, possano beneficiare delle quote parti che sarebbero spettate alle loro madri. Chi, invece, era rimasta sola senza marito e senza figli, cerca di barattare l’eredità con alcune garanzie sui giorni che restano da vivere. Cattarina Brunello, vedova di Alvise Lovisetto, essendo senza figli, cerca di dividere l’eredità fra i due nipoti maschi sperando che entrambi potessero prendersi cura di lei. Al figlio del fratello Andrea Brunello destina 5 ducati, mentre al figlio del cognato defunto Giuseppe Lovisetto destina tutti i beni rimanenti. Passa un mese e il nipote Brunello si ribella alla decisione della zia, rifiutando ogni sostegno alla donna che decide di riconvocare il cancelliere della contea Morosina per aggiungere un codicillo al testamento col quale istituisce erede universale il nipote Antonio Lovisetto.