Storia Dentro la Memoria


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Sulla torre sventolò bandiera rossa

di Franco Marchiori

Un ricordo non è un fatto storico. La storia, per essere tale, ha bisogno di certezze, di documenti, di prove, di dati oggettivi… Un ricordo, in quanto prodotto della mente umana, non può che essere soggettivo. Con l’azione del tempo i contorni dei nostri ricordi si sfumano, e vengono involontariamente ri-contornati, ri-contestualizzati, adattati, in qualche modo, col senno di poi. Ma uno storico non può tralasciare i ricordi: possono essere un punto di partenza, uno spunto per future ricerche, una pista da seguire. Un ricordo se intrecciato ad altri, meglio se arricchito con delle prove, opportunamente inserito nello spazio e nel tempo, può divenire fatto storico. Allora eccomi qui a raccontare un ricordo, a mia volta raccontato da il professor Domenico Toniolo, conosciuto all’epoca dei fatti con il nomignolo “Nico dea pesa” e il, recentemente scomparso, signor Orazio Agostinelli. Siamo alla fine del secondo conflitto mondiale, negli anni più bui e nefasti che il genere umano abbia mai prodotto sia a livello mondiale: la Scioah, le bombe atomiche… che a livello locale: l’occupazione nazista, la guerra civile, il rastrellamento del Grappa…

Quattro giovani di Rossano, Eros Giampaolo Arsie (classe 1928), Orazio Silvano Dionello (classe  1925), Ugo Ripoli (classe 1926) e Giovanni Degetto (classe 1926), decisero di compiere un atto che segnò le loro vite in maniera indelebile. Una notte di primavera, o di estate, del 1944 salirono sulla torre del parco dei Sebellin e issarono una bandiera di colore rosso (il lasso di tempo in cui l’episodio può essere avvenuto è compreso fra febbraio ed agosto del 1944).

La torricella sulla quale fu issata la bandiera rossa.

Siamo negli anni dell’occupazione nazista e una bandiera rossa ha un significato politico inequivocabile! A Rossano, come in altri luoghi, i renitenti alla chiamata alle armi sono molti. I militari che all’8 settembre 1943 si sono trovati allo sbando e sono riusciti in qualche modo a tornare in paese non hanno nessuna intenzione di tornare a combattere e si nascondono in stalle, fienili o da parenti e amici fuori paese (a tal proposito si veda “Il diario di Andrea” edito dall’Istituto Comprensivo di Rossano Veneto, in cui è trascritta una parte del diario di Andrea Beltramello che cerca di sfuggire alla cattura per non essere inviato al fronte). Le proteste in paese sono molte già a partire dal settembre del ’43 quando un gruppo di donne e alcuni uomini impedirono il prelevamento dal grano dall’Ammasso di Rossano per portarlo a Bassano, chiedendo invece la distribuzione del grano alla popolazione (a tal proposito si veda “Nessun ostacolo potrà arrestare la travolgente azione dell’Italia Fascista” edito da Attilio Fraccaro Editore, in cui viene data ampia rilevanza a questo episodio).  Il Dionello e il Ripoli lavoravano alle smalterie di Bassano (informazione da verificare) dove ideologie avverse al Nazi-Fascismo cominciavano a serpeggiare e ad attecchire. L’Arsie era figlio di negoziante di tessuti, fu quindi, con molta probabilità, la persona che procurò il tessuto per la bandiera. Il Degetto era coetaneo del Ripoli e probabilmente amico degli altri, le case di abitazione dei quattro ragazzi sono tutte nell’arco di un chilometro: l’Arsie in via Bassano (negozio da “Muscoi”), il Degetto in via salute (trattoria da “Cadore”), il Dionello abitava in via Ghetto (via non più esistente, oggi laterale di via Roma, all’altezza del negozio Oselladore), infine il Ripoli abitava alle “Casette” in via Stazione. Perché proprio dai Sebellin? Lo “Skyline” della Rossano di allora vedeva spiccare pochi elementi, il più alto sicuramente il campanile della Chiesa, posto com’è sopra all’antico “castelliere”, spiccano poi le ciminiere delle varie filande, quella dei Cecchele, dei Meneghetti, dei Bigolin…

Ma fra tutte emerge con una mole di tutto rispetto la “Torricella” di parco Sebellin, una costruzione in stile neo-medievale costruita pochi decenni prima a sancire l’importanza della ricca famiglia in paese. Sempre a ricordo del Toniolo la famiglia a volte si faceva servire la cena sopra alla Torricella per poter così dominare dall’alto tutto i loro possedimenti che si estendevano a perdita d’occhio in molte parti del paese. I Sebellin ebbero poi due esponenti della famiglia direttamente implicati nell’Amministrazione Fascista del Paese: il Tenente Colonnello Achille, Sindaco della prima Amministrazione Fascista di Rossano dal 1923 al 1926 e il fratello Baldassarre secondo Podestà di Rossano dal 1928 al 1933. In realtà l’adesione al Fascismo dei due fratelli è molto differente: Achille fu sicuramente un Fascista della “prima ora”, fra i fondatori del Fascio di Rossano nel 1922; Baldassarre (quasi)mai esplicitamente sostenne il Regime ma, in qualità di primogenito della famiglia di granlunga più importante del paese non potè esimersi dall’assumere ruoli di prestigio a livello politico, sulle orme dei suoi predecessori da sempre presenti nella vita politico-amministrativa del Comune. I destini dei quattro autori del gesto simbolico dell’affissione della bandiera si dividono. Sempre a ricordo del Toniolo i quattro furono denunciati dal “Podestà” Giovanni Martini e l’unico che non riuscì a fuggire alla cattura fu Giovanni Degetto che venne deportato in Germania a lavorare in appositi campi di concentramento per italiani avversi al Regime, Italiani Militari Internati (I.M.I.). Il Toniolo ricorda di averlo visto tornare a Rossano, una volta scarcerato, a Guerra conclusa.

Lo stesso non accadde però agli altri tre compagni, i quali per paura di essere catturati decisero di scappare sul Grappa e si stabilirono con altri “Patrioti” (il termine “Partigiani” verrà adottato in seguito) a Campo Croce.

Proprio i “Patrioti” di Campo Croce decisero di rapire il “Podestà” Giovanni Martini. Questa la descrizione fatta da Cocco Andrea detto “Bill”, comandante del gruppetto di partigiani che eseguì l’operazione, tratta da La resistenza nell’agro bassanese, di Tessarolo P., Moro, Cassola (VI), 1995: Il Magg. della Muti Martini Giovanni Podestà di Rossano V.to era molto temuto in paese. La popolazione ma soprattutto i giovani erano continuamente intimo- riti e minacciati che, se non si fossero arruolati nella R.S.I., sarebbero stati, una volta catturati passati per le armi. A tal fine egli aveva richiesto più volte dei rastrellamenti a Rossano. Nel gruppetto che salì a Campo Croce con me la notte tra il 13 e il 14 agosto 1944 c’erano molti giovani di Rossano V.to, che nutrivano nei confronti del Martini un forte rancore. Da qui la loro insistente richiesta al sottoscritto di andare a prelevarlo e portarlo a Campo Croce. Mi feci loro interprete presso il com.te Giorgi e ottenuta l’autorizzazione la sera del 21 agosto, partimmo per attuare l’azione. Scendemmo con la carretta delle salmerie tirata dal mulo. Oltre al conducente Brotto Valentino vengono con me: Danilo detto ‘il Guastatore’, Enzo Zadra, Dini Armando, Loro Tarcisio, Miron Francesco e alcuni altri di Rossano V.to… Cocco Andrea “Bill” Nella frase: “Nel gruppetto che salì a Campo Croce con me la notte tra il 13 e il 14 agosto 1944 c’erano molti giovani di Rossano V.to, che nutrivano nei confronti del Martini un forte rancore. Da qui la loro insistente richiesta al sottoscritto di andare a prelevarlo e portarlo a Campo Croce.” , c’è una possibile conferma, si parla di giovani saliti a metà agosto che chiedono di rapire il Martini.

Ugo Ripoli

La storia ci racconta poi il tragico epilogo dei tre ragazzi. Tra il 18 e il 29 settembre 1944 ebbe luogo l’operazione “Piave”, meglio conosciuta come il Rastrellamento del Grappa. Fu un massacro: il numero delle vittime partigiane ammonta a 230 caduti, dei quali 187 fra bruciati, fucilati e impiccati, 23 morti in combattimento, mentre di 20 persone non si conosce la circostanza della morte (Sonia Residori “Il massacro del Grappa”).

Giampaolo Arsie

Fra i caduti c’erano: – Eros Giampaolo Arsie, di Giovanni Angelo (commerciante) e di Restelli Anna Maria, nato a Rossano Veneto il 22 novembre 1928, di professione “studente”. Morì in combattimento in località Fossa di Campo, nel territorio montano di Borso del Grappa (TV), il 21 settembre ’44. – Orazio Dionello detto “Pucci” di Giuseppe (operaio) e di Piron Clelia Maria, nato a Rossano Veneto il 22 marzo 1925, di professione “meccanico”. Cadde in combattimento a Prai di Borso del Grappa (TV) il 21 settembre ’44. A lui, in seguito, verrà intitolato un battaglione della Brigata “Martiri del Grappa” guidata da Primo Visentin “Masaccio” a cui apparterrà anche il già citato Andrea Cocco “Bill”. – Ugo Ripoli di Giovanni (operaio) e di Donatello Regina, nato a Rosà il 2 giugno 1926,  la famiglia arrivò a Rossano nel 1935. Fu trucidato a raffiche di mitra nei pressi del Cason di Meda, Borso del Grappa (TV), il 24 settembre ’44. Il 28 maggio 1945 fu celebrato il funerale a Rossano di Giampaolo Arsie e Orazio Dionello, con le salme da poco arrivate da Borso del Grappa. Le spoglie dei tre amici giacciono nella cappellina del Cimitero di Rossano, una a fianco dell’altra.

Le tre lapidi presso la cappellina del cimitero di Rossano Veneto.


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Il rapimento di Giovanni Martini a Rossano Veneto (3^ parte)

di Franco Marchiori

Vediamo quanto annotò nel suo diario Guido Toniolo:
30 Agosto 1944 Guerra
Alla prime ore del 30 agosto successe un fatto di sangue su Martini Giovanni di Angelo, presso propria abitazione, Villa Martini. Il Martini è Commissario Prefettizio di Rossano. Orbene, stanotte fu deportato e per questo fu sparato e ferito. Come pure sua sorella fu lorda di sangue e non ferita. Parlano essere stati quelli della montagna. Ogni modo il fatto suscitò gran sgomento. Si dice che sparò pure lui e che aveva tentato di fuggire per la retro casa; che avesse delle bombe e la mitra. La gente fugge. Temono delle punizioni pubbliche.
[…] Particolare su Martini dicono che avesse una mano quasi staccata dallo scoppio di una bomba a mano che lui stesso, maneggiandola, le scoppiò in mano.
Le scale, stanze sono lorde di sangue.
Dicono le voci che andarono verso la Sega e Casa rossa ove fu condotto con auto.

Gino Stragliotto, mezzadro e vicino di casa di Martini Giovanni, riferisce quanto segue:
All’epoca c’era il Padre Nicolini dei Camilliani, che era un pezzo grosso, e lui sembrava che stesse dalla parte dei tedeschi, ed invece stava con i partigiani, faceva il doppio gioco insomma…
E quando vennero a prendere Martini venne qui da noi a dirci di scappare per paura delle rappresaglie dei tedeschi… e tutti scappammo e passammo la notte fuori… mi pare che eravamo nel ’44, il periodo in cui presero i partigiani sul Grappa. E quando sono venuti a prenderlo qua a Mottinello c’è stato un grande sconvolgimento e tutti scappavano, perché non si sapeva la fine che facevano quelli che venivano presi, e molti non tornarono più, era paura vera. Ci portavano a lavorare a Cismon, per i tedeschi, dove si costruiva un impianto di sbarramento per i carri armati…
Quanto alla cattura del Martini da parte dei partigiani, essa venne in seguito al rifiuto di alcuni di andare a lavorare a Cismon sotto i tedeschi. Il Padre Nicolini al pomeriggio passò anche di qui ad avvertire che quella notte ci sarebbe stato un rastrellamento dovuto al nostro rifiuto di andare a Cismon. Ma io non ci credetti molto. Faceva il doppio gioco… Porca l’oca… all’una di notte sento il finimondo qui, una guerra, rumore di bombe a mano, di mitraglie. Le mitraglie erano dei partigiani, e le bombe del Martini… mi svegliai, saltai giù dal letto (ove giacevo con mia moglie) volevo scappare ma mio fratello mi intimò di non muovermi… pensavo al rastrellamento come ci preavvisò il Nicolini… Allora rimasi in silenzio, al buio, senza muovermi, ad ascoltare… Lo avevano chiamato: ‘Martini scendi’ ma lui niente, lo sapeva che gli toccava di fare quella fine lì, per questo si era preparato con le cassette di bombe a mano, e invece di scendere ha risposto con il fuoco… ma i partigiani avevano già circondato tutto il palazzo e cominciarono a sparare con le mitraglie. Il tutto durò per un’ora, finchè poi non si udì più nulla, e di lì a poco sentii il rumore di una cavallina che trainava un carro che correva come il vento e si dirigeva verso il centro di Mottinello, e sentivo i lamenti di un uomo ferito. Gli avevano staccato un braccio all’altezza del polso. E lo presero sul retro della casa, da cui tentava di fuggire, ma essendo circondato fu veduto e colpito da una bomba a mano. Tutti erano convinti che fosse morto, aveva perso molto sangue. I partigiani gli dicevano: ‘Disgraziato, perché avete sparato?’ Ma lui non faceva altro che lamentarsi e non rispondeva.
Dopo non si sentì più nulla. Al mattino venne il Padre Nicolini dicendo di scappare, che sarebbero venuti a prenderci tutti. E poi non si seppe più nulla, neanche del Martini, se non che alla fine lo liberarono, prima che i tedeschi andassero a prendere i partigiani in Grappa. Lui tornò a casa guarito.
Però quando tornò a casa, e anche per questo lo ammiro, non parlò con nessuno di quello che gli era successo, e di chi era stato… e dire che li conosceva tutti. Erano stati quelli di Rossano e di Belvedere, il loro capo era da Belvedere ed era un mio amico ma io non sapevo che lui era un partigiano.
Dopo la guerra, i partigiani continuavano ad infastidire il Martini, venivano qua e gli prendevano il fieno, da padroni senza domandare.

Padre Odone Nicolini

Padre Odone Nicolini

Vediamo invece la descrizione che il Martini stesso fece nell’interrogatorio effettuato del 21/06/1945, presente nel fondo C.L.N. presso l’Archivio di Stato di Vicenza:
Nella notte dal 29 al 30 agosto del 1944 io, per essere commissario prefettizio di Rossano Veneto, e non per ragioni mie personali, fui prelevato dai partigiani. Io, non sapendo qual genere di persone si fossero presentate alla mia abitazione (era l’1 di notte) mi difesi, senza ferire nessuno, perché mi limitai a scagliare a casaccio dalla finestra tre bombe a mano a scopo intimidatorio, il che portò che io fossi ferito con bombe a mano di ritorsione al braccio sinistro e alla gamba destra, nonché di striscio per arma da fuoco al capo. Fui prelevato e portato sul Grappa a Campo Croce; ma dopo 23 giorni, fui lasciato libero, in occasione del rastrellamento sul Grappa[…]”

Nel complesso le versioni risultano abbastanza simili, fra le incoerenze c’è da segnalare la diversità delle date: dal 21 agosto della descrizione di Bill (data riportata anche da Corletto G. in Masaccio e la Resistenza tra il Brenta e il Piave) al più attendibile 30 riportato nel diario Toniolo e nel verbale di interrogatorio effettuato a Giovanni Martini. Bill parla, inoltre, della madre del Martini mentre quest’ultimo abitava solo con la sorella, come risulta dal censimento del ’36 e come sostengono il Toniolo e lo Stragliotto. Lascia un po’ perplessi il riferimento agli sfollati di cui parla Francesco Miron: l’unica persona in casa estranea ai fatti era la sorella del Martini. Inoltre, un’altra incoerenza da rilevare sta nelle ferite riportate dal Martini, si ritiene a tal proposito più credibile la deposizione di quest’ultimo fatta in tribunale a pochi mesi di distanza dal rapimento.
Presumibilmente Martini si aspettava qualche ritorsione, per questo si era preparato con delle bombe a mano in casa; inoltre nel mese di giugno dello stesso anno fece domanda alle competenti autorità per ottenere il porto d’armi per la sua difesa personale.

Martini - Licenza porto d'armi 1

Licenza porto d’armi di Giovanni Martini

 Fu poi liberato il 21 settembre durante il rastrellamento del Grappa eseguito dal 21 al 27 settembre che ebbe come tragico epilogo l’eccidio di partigiani nei viali Venezia e dei Martiri a Bassano. Per la cronaca, il 26 settembre furono catturati e successivamente impiccati anche Cocco Giovanni fratello di Bill e Bizzotto Giuseppe di Rossano Veneto. La prigionia del Martini, avvenuta a Campo Croce, Comune di Borso del Grappa (TV), durò in tutto 22 giorni.
Riporto di seguito quattro descrizioni del rilascio del Martini durante il rastrellamento:
La prima tratta da Monte Grappa tu sei la mia patria. La brigata Martiri del Grappa, di Gramola B., La Tipografica, Rossano V.to (VI), 2003 a p. 97.
Cocco [Andrea “Bill”] non permise che fosse malmenato, ma lo fece medicare e il 23 lo spedì in montagna, dove lo prese in cura il dott. Nardini “Pippo” e dove venne processato. Fu lasciato libero dai partigiani presso Cima Grappa il 21 settembre e non pare abbia tradito i patrioti conosciuti in montagna.
La seconda tratta dallo stesso volume a p. 109:
Pietro Giovanni Cocco, classe 1925, era salito in montagna con i fratelli Andrea e Renato il 15 agosto. Sul Grappa fu addetto alla custodia dei prigionieri in Camol, tra i quali il ten. Aldo Piras, il seg. magg. Mariano Costacurta, il centurione Martini di Rossano, alcuni tedeschi… in tutto una quindicina di persone. In caso di rastrellamento l’ordine era di uccidere i prigionieri, che non potevano aver visto luoghi e persone. Il 21 settembre mattina Giovanni, con altri 19 addetti alla custodia, fu mandato di rinforzo ai Prati di Semonzo. Al ritorno, ridotti ormai a pochi, Giovanni Bordignon avrebbe voluto uccidere i prigionieri, ma il ten. Bosio si oppose. Allora Giovanni Cocco e gli altri si avviarono con i prigionieri verso Cima Grappa, ma vennero attaccati dai tedeschi e i prigionieri fuggirono.

Da Campo Croce a Camol

Da Campo Croce a Camol

Malga Camol

Malga Camol

La terza tratta dallo stesso volume a p. 143:
“[Testimonianza di Tarcisio Loro “Lorenzin”] Salito con i compagni e i due prigionieri [due camicie nere] verso Cima Grappa in obbedienza agli ordini, ritrovò altri partigiani (Pietro Giacometti “Giacomelli”, Francesco Marchetti “Neri Italo” e Antino Vico “Max” del suo stesso paese, un italiano paracadutato dagli Alleati e due ragazzi di Schio con il podestà Martini prigioniero). Quando arrivarono sulla cima, era ormai mezzanotte e l’albergo era in fiamme. Il podestà Martini si offrì di andare a controllare se ci fossero nazifascisti e, dopo circa mezz’ora, ritornò dicendo che non c’era nessuno. A Cima Grappa il gruppetto partigiano liberò i tre prigionieri

L’ultima tratta da Voci e volti: testimonianze e immagini di guerra, prigionia, resistenza di combattenti del bassanese nella seconda guerra mondiale, di Parolin N., Bellò G., BST, Romano d’Ezzelino (VI), 2002, pp. 283-4.
“[Testimonianza di Tarcisio Loro “Lorenzin”] Mi spostai dalla parte del Col Moschin dove trovai altri amici che avevano con sé una mitragliatrice con 2.000 colpi nello zaino. Dal nostro nascondiglio vedemmo uscire dal bosco due soldai delle brigate nere in perlustrazione. Li facemmo prigionieri e con loro ci dirigemmo in Grappa.
Lungo il tragitto incontrammo altri compagni partigiani che avevano con sé il podestà di Rossano, il sig. Martini.
Intanto, sulla cima, l’albergo bruciava tutto. Ci chiedevamo chi l’avesse dato alle fiamme. Martini si esibì di andare a controllare.
Sì, va bene – dico io – Se entro mezz’ora non arrivi sappiamo che sopra ci sono i tedeschi. Dopo mezz’ora ritornò tra noi e allora li lasciammo liberi tutti e tre.

In sintesi quindi i partigiani decisero di non uccidere i prigionieri che, poco dopo, riuscirono a fuggire. Questa scelta si rivelò deleteria per il movimento perché Piras e Costacurta una volta liberi rivelarono tutto ciò che sapevano. Martini però, pur facendo parte di questa quindicina di prigionieri fuggiti, non ottenne la libertà: lo ritroviamo una seconda volta prigioniero di un altro gruppo di partigiani. In quel caso aiutò addirittura i partigiani ed in cambio ottenne la libertà.
Una volta liberato, Martini fu ricoverato per tre giorni all’ospedale di Bassano del Grappa, venne poi trasferito all’ospedale di Vicenza dove rimase per una ventina di giorni. Una volta dimesso trovò ospitalità a Schio dove rimase un mese e mezzo. Dopodiché accettò l’incarico di Commissario Prefettizio nel Comune di Sossano (VI) dove rimase fino al 25 aprile 1945. Il fatto che Martini, una volta liberato, non fece i nomi di chi l’aveva rapito è confermato sia da fonti partigiane che non. Di fatto mantenne fede ad una promessa fatta a Campo Croce a Padre Nicolini presumibilmente in cambio della sua liberazione. Padre Nicolini testimoniò con due lettere alla Corte d’Assise Straordinaria di Vicenza il fatto che Martini mantenne fede a questa promessa e in questo modo favorì il suo proscioglimento.
Ad onor del vero è giusto sottolineare come Martini fu sì processato, ma il tutto si risolse con un nulla di fatto. La prima denuncia fatta a suo carico risale al maggio del ‘45, la sua scarcerazione è datata settembre dello stesso anno, mentre il suo definitivo proscioglimento con provvedimento di archiviazione è dell’aprile del ‘46. Le motivazioni del Procuratore Generale riportate nell’Ordinanza di scarcerazione sono testualmente:
Visto il verbale di interrogatorio e gli atti contro Martini Giovanni fu Angelo arrestato per collaborazionismo attesto che sono venuti a mancare a carico dell’arrestato indizi sufficienti di colpevolezza.
Le motivazioni del Pubblico Ministero per l’archiviazione del caso sono invece:
Il Pubblico Ministero presso la sezione Speciale di Corte d’Assise in Vicenza. Visti gli atti relativi a Martini Giovanni fu Angelo ritenuto che per il fatto di cui trattasi non si possa procedere per la manifesta infondatezza della denuncia, fondata su un sospetto ingiustificato.
Ordina la trasmissione dei dati nell’archivio.
Di fatto furono ascoltati il Marchese Federico Mainardi, Sindaco di Rossano nominato dal CLN a guerra finita, e Marinello Romeo suo principale accusatore. Non ho trovato documenti che attestino la verifica della fondatezza delle accuse rivoltegli e ho buoni motivi per credere che non sia stata svolta nessuna indagine. Come unico teste fu ascoltato P. Nicolini che scagionò il Martini dalle accuse.
Giovanni Martini si trasferì a Montaviale (VI) nel luglio del 1946, vi rimase per dieci anni, dopodiché si trasferì a Schio (VI), dove morì il 21 febbraio 1963 all’età di 73 anni.
In sintesi possiamo dire che quest’uomo rappresenta la nascita e la morte del Fascismo nel paese, fu promotore della fondazione del Fascio di Rossano, fu il primo Segretario del Fascio, portò a Rossano il Sindacato Fascista, fu l’iniziatore in paese dei Corsi Premilitari che seguì per molti anni di persona, fu poi l’ultimo Podestà ad essere nominato e l’ultimo Commissario Prefettizio del paese, ma cosa più importante fu l’unico Rossanese ad essere processato in quanto fascista e fu l’unico che dovette lasciare il paese.


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Il rapimento di Giovanni Martini a Rossano Veneto (2^ parte)

di Franco Marchiori

Il fatto che il Martini abbia tentato di liberarsi del porto d’armi è una cosa verosimile, dato che i partigiani che lo stavano sequestrando avrebbero potuto usarlo a loro piacimento. È altrettanto verosimile che sul porto d’armi potesse esservi indicato il nome Ettore Muti, considerato il fatto che il Muti fu assassinato un anno prima ed è idealmente il primo caduto della Repubblica Sociale Italiana (da ora RSI), osannato come un eroe del Fascismo e della neonata nazione. Più perplessi lascia invece il fatto che i partigiani possano aver scambiato un porto d’armi per una tessera della Guardia Nazionale Repubblicana (da ora GNR).
Risolve la controversa questione una semplice analisi cronologica dei fatti: il 22 febbraio del 1941 il Martini viene richiamato alle armi per unirsi alla 44a legione della MVSN a Schio, il 31 gennaio del 1944 viene cancellato dai ruoli della 44a legione GNR, nel febbraio del 1944 viene nominato Commissario Prefettizio di Rossano, nella notte tra il 29 e il 30 agosto viene prelevato dai partigiani, infine il 1° Battaglione di Combattimento Volontari Italiani “Ettore Muti” giunge a Schio nell’estate del ‘44. In buona sostanza quando il Martini era a Schio la Muti non c’era, quando la Muti arrivò a Schio Martini era già Commissario Prefettizio a Rossano e proprio in quegli stessi giorni veniva rapito dai partigiani.
Analizziamo ora le varie versioni che abbiamo del suo rapimento, confrontandone i contenuti e cercando di capire come andarono effettivamente le cose.

Partigiani Andrea Cocco e Ermeneglido Moro

I partigiani Andrea Cocco ed Ermenegildo Moro.

Partiamo dalla descrizione fatta da Cocco Andrea detto “Bill”, comandante del gruppetto di partigiani che eseguì l’operazione, tratta da La resistenza nell’agro bassanese, di Tessarolo P., Moro, Cassola (VI), 1995:
Il Magg. della Muti Martini Giovanni Podestà di Rossano V.to era molto temuto in paese. La popolazione ma soprattutto i giovani erano continuamente intimo- riti e minacciati che, se non si fossero arruolati nella R.S.I., sarebbero stati, una volta catturati passati per le armi. A tal fine egli aveva richiesto più volte dei rastrellamenti a Rossano.
Nel gruppetto che salì a Campo Croce con me la notte tra il 13 e il 14 agosto 1944 c’erano molti giovani di Rossano V.to, che nutrivano nei confronti del Martini un forte rancore. Da qui la loro insistente richiesta al sottoscritto di andare a prelevarlo e portarlo a Campo Croce.
Mi feci loro interprete presso il com.te Giorgi e ottenuta l’autorizzazione la sera del 21 agosto, partimmo per attuare l’azione. Scendemmo con la carretta delle salmerie tirata dal mulo. Oltre al conducente Brotto Valentino vengono con me: Danilo detto ‘il Guastatore’, Enzo Zadra, Dini Armando, Loro Tarcisio, Miron Francesco e alcuni altri di Rossano V.to. Arriviamo all’abitazione del Martini che si trovava sulla strada che da Mottinello va verso Belvedere, alle 23 circa. La casa era un po’ isolata e la circondammo in silenzio. Pensammo di farci aprire usando uno stratagemma. Uno di noi picchiò alla porta dicendo che aveva un messaggio scritto da parte del com.te della ‘Muti’ di Schio da consegnare personalmente al Magg. Martini. Questi però non abbocca e lancia una bomba a mano del tipo balilla, che per fortuna non scoppia subito. Ne lancia un’altra ma anche questa non esplode. Noi però allarmati ci scostiamo un po’ dall’abitazione. A questo punto Danilo ‘il Guastatore’ con voce tuonante intima al Martini di uscire: ‘O ti arrendi ed esci con le mani alzate entro cinque minuti o ti facciamo saltare la casa’ e dà ordini al proposito: ‘Mettete una carica a destra, una a sinistra, una sulla porta’ e così via. Il Martini esaurite le bombe, comincia a sparare con una pistola di piccolo calibro da una finestra del secondo piano spostandosi poi da una finestra all’altra.
Io che mi trovavo dietro un pilastro nel lato nord dell’abitazione proprio da dove stava sparando, intuii che se avessi lanciata una bomba a mano del tipo Sipe sopra il tetto della casa, calcolandone il tempo questa sarebbe rotolata scoppiando all’altezza della finestra. Ed infatti così feci. Mentre Danilo continuava ad urlare ordini: ‘Accendete le micce, facciamo saltare tutto il fabbricato’ lanciai la bomba che scoppiò proprio nel momento che il Martini si stava sporgendo per sparare l’ennesimo colpo. Egli fu colpito da molte schegge sul viso, alla testa e sul corpo. A questo punto lo spavento del Martini era tale che cominciò a gridare di fermarci, che si arrendeva e che in casa c’era la madre e la sorella: non gli facessimo del male! Noi gli intimammo di uscire con le mani alzate e non gli sarebbe accaduto niente.
Uscì dal portone ad est. Io gli andai incontro, alla mia destra c’era Tarcisio Loro di Rossano, armato di mitra lungo che giunto a pochi metri dal Martini, impugnò l’arma per la canna e la stava scagliando sulla testa del Martini. Feci appena in tempo ad alzare il braccio destro per deviare il colpo e gridargli: ‘Fermo! Dobbiamo portarlo a Campo Croce vivo e non morto!’.
Lo caricammo sulla carretta allontanandoci di tutta fretta verso Castion di Loria. Dopo qualche chilometro, in aperta campagna ci fermammo e lo medicammo alla meglio, poi lo spedimmo a Campo Croce il giorno 23 con un camion carico di rifornimenti.
Il gruppetto che porta il Martini arriva a Campo Croce senza incontrare difficoltà. A Campo Croce il dott. Nardini ‘Pippo’ prende in cura il Martini che in poco tempo si riabiliterà.
Al rastrellamento del Grappa dei nazifascisti il Martini riconquisterà la libertà trasferendosi però immediatamente a Schio. Si seppe in seguito che, malgrado quanto gli era successo, non si rese responsabile di alcuna delazione con i tedeschi, verso persone che aveva ben riconosciuto.
Cocco Andrea “Bill”

partigiani

I partigiani catturati sul Grappa e impiccati il 26 settembre 1944 a Bassano del Grappa.

Sempre di Cocco Andrea “Bill” esiste inoltre un memoriale autografo privo di data, conservato presso l’Istituto Veneto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea (IVSREC) di Padova, Prima sezione, busta n. 42.
Verso il 30 agosto io tornai in pianura per catturare il Tesserato della Muti Martini Giovanni da Rossano il quale si difese a lancio di bombe a mano delle quali una mi avrebbe spaccato se fosse esplosa perché mi cadde tra i piedi.
Potei avere ragione di lui solo dopo 30 minuti di lotta avendo lui esaurite le bombe a mano che erano in N. di 4 stava appostato dietro il verso della finestra con la pistola in mano pronto a sparare qualora vedesse qualche nostro movimento.
Io intuito che si trovava dietro una delle finestre dopo aver tirato delle bombe contro la porta per cercare di sfondarla visto che non cedeva mi portai dietro la casa propriamente in direzione della finestra dove lui stava nascosto e lanciandogli una bomba Sipe sopra il tetto della casa mi riparai questa che aveva 4 secondi di tempo dopo essere lanciato per scoppiare arrivata sul tetto rotolò nel vuoto ed all’altezza della finestra dove lui si trovava esplose lui rimase colpito alla testa in 3 punti ed al braccio destro da schegge allora finalmente si decise perdere e darsi prigioniero e fu subito tradotto in montagna per essere prima medicato e curato e poi processato.
Invece nel memoriale autografo di Ermenegildo Dott. Nardini “Pippo” del 19/07/1945, conservato sempre presso l’IVSREC di Padova, Prima sezione, busta n. 42, troviamo:
8) Prelievo del Podestà di Rossano – Martini – Spia fascista – il quale dava la caccia ai patrioti. Durante la cattura il Martini è rimasto ferito. Nessuna perdita fra i nostri.”
Nel volume Il Grido di pace e di vittoria, di F. Zanetti, Officina Tipografica Vicentina, Vicenza, 1946, l’episodio viene descritto così:
Una sera scendono dal Grappa: Bill, Cici, Danilo, Zen, Pastega, Distruggitore. Arivano alla casa Martini, catturano il feroce Podestà al grido: ‘50 uomini a sinistra, 50 a destra, compagnia mortai fuoco’ e come un salame, portano il fascista in Grappa con la carretta di Gigetto Grigolo.
La versione di Francesco Miron, tratta da Memorie di un ribelle, Gramola B. e Vidale D., Arti Grafiche Postumia, San Martino di Lupari (PD), 2004, invece è la seguente:
Ricordo una sera in cui scendemmo da Campo Croce per un prelevamento di persona. Quella sera arrivammo giù a Borso del Grappa, andammo da un compagno che era sempre a nostra disposizione con un carro e un mulo da traino. Chiesi al mio capo Cocco: “Dove andiamo questa sera con il carro?” Pensavo ad un prelevamento di viveri; invece mi disse: “Andiamo a prelevare un gran gerarca fascista che, secondo il pedinamento fatto dalle nostre staffette, questa notte si trova nella sua abitazione privata. Abbiamo tanta strada per arrivare, sempre che non veniamo fermati da qualche pattuglia nemica”. Vidi che nella carretta c’era una pinza tagliafili e chiesi: “Cosa ne facciamo di quell’arnese?” “Dobbiamo tagliare del filo spinato” mi disse. “Non siamo mica in prima linea, qui!”, risposi. “Questo fascista – concluse Cocco – ha l’abitazione recintata di filo spinato: per entrare e avvicinarci dobbiamo aprirci la strada con le pinze!”.
Comunque arrivammo in quel posto e ci rendemmo conto che era la verità: non v’era alcuna possibilità di entrare in quella casa, a meno di non metterci a tagliare il filo spinato. Ci mettemmo ad aprirci un varco, tutti in silenzio, pensando sempre di portare a termine l’impresa senza usare le armi, anche per non essere scoperti dal comando tedesco che stava in Rossano e in Galliera Veneta. Noi eravamo in mezzo a questi due comandi, in località Mottinello. Durante il lavoro – quel volpone teneva in casa tanta gente sfollata, così da avere compagnia – venimmo scoperti; intanto, però, avevamo già aperto un bel varco. Lui, quando ci vide sotto e vicini, ci sparò tre colpi di pistola credendo d’intimorirci, ma noi rispondemmo con alcune raffiche di mitra. Lui ci lanciò una bomba a mano: era veramente un guerriero! La grande casa era tutta al buio. Noi sparammo alle finestre: gli sfollati si misero a piangere dalla paura. Noi dicemmo loro di dirci a che piano si trovavano, perché la casa era di tre piani. Ci dissero: “Siamo al secondo!”. E tutto ad un tratto vennero accese le luci, tranne quelle al terzo piano. Chiedemmo al fascista la resa, dicendogli che non gli sarebbe stato fatto nulla di male; ma lui rispose di nuovo con colpi di pistola e con il lancio di una bomba a mano. Per fortuna nessuna perdita da parte nostra. Pensavamo che non valesse la pena di usare le armi, perché, stando lui dentro e al buio, sarebbe stato assai difficile colpirlo… e poi avevamo anche paura che arrivassero i tedeschi, che stavano ai nostri fianchi.
Stavamo lì, puntando gli occhi alle finestre per vedere da dove sparava, e finalmente vedemmo partire dal buio del terzo piano il fuoco: allora cominciammo anche noi ad usare le bombe a mano. Il nostro capo, “Bill”, disse: “Tiro io!”. Ci voleva il braccio buono per arrivare a colpire un finestrino del terzo piano. Noi avevamo due bombe a mano ciascuno. “Bill” tirò le sue due, ma invano: non fece centro. Io ero lì, buono, e stavo sempre al suo fianco. Mi disse: “Andiamo più vicini e dammi una tua bomba. Adesso devo arrivare lassù!” Gli diedi una mia bomba, la lanciò e fece centro. Sentimmo il volpone gridare: “Mi arrendo! Vengo giù subito!” e si presentò in cortile tutto insanguinato, colpito al braccio destro e alla spalla. Gli dicemmo: “Non temere! Adesso dobbiamo subito sparire da questo posto, ma abbiamo bende e fasce per medicarti e poi abbiamo anche i medici che ti cureranno”.
Ci chiese dove lo avremmo portato e cosa avremmo fatto di lui; gli rispondemmo che lo portavamo sul Grappa e che lo avremmo tenuto prigioniero come nostro ostaggio. Si pacificò. Accompagnammo il carro con il prigioniero fino alla strada del Grappa, ma noi restammo giù per altre azioni. Quel volpone nero si salvò anche durante il rastrellamento del Grappa, perché, quando i tedeschi riuscirono a sfondare le nostre postazioni, tutti i prigionieri furono liberati.