CAPITOLO XXII.
Della Costruzione.
La costruzione è un punto essenzialissimo per l’Architetto, che quando in riguardo alla stessa commette errore, mostra chiaramente di non intender l’arte, della quale fa professione. Per darne una idea prendiamo a considerare un edificio di figura circolare sostenuto da colonne isolate, e ci venga proposto di stabilire la pianta de’ plinti delle mentovate colonne. Se i lati di un plinto tendessero al centro della figura, ne nascerebbe l’inconveniente, che la faccia interna sarebbe più picciola della esterna. Ci riuscirà di evitarlo, se descritta pei due centri della figura, e della colonna una linea, condurremo a questa paralleli i due lati del plinto, intersecandoli con due porzioni di circoli concentrici alla figura, che tocchino internamente, ed esternamente il circolo delineato col raggio eguale a quello della colonna più l’agetto della base, e formino le faccie interna, ed esterna del plinto, le quali adequatamente si eguagliano. Pecca contro la retta costruzione, chi fa ineguali gl’intercolunnj negli angoli di un vaso; chi non salva le medietà principali, e secondarie; chi usa le risalite senza ragione; chi non continua le linee, e spezza gli architravi, le cornici, ed i frontespicj; chi non dà ad un vaso principale la debita altezza; e chi per esempio in una Chiesa non determina tutti gli archi proporzionali all’ordine, e simili per conseguenza. In questo Tempio di S. Liberale gli archi maggiore, medio o dell’ordine, e minimo, le nicchie da statue, ed anche la cupola accettano la proporzione Jonica, ed hanno la larghezza all’altezza come 1 a 2 .Delle regolari strutture delle volte ne ho già parlato. Veggonsi frequentemente degli errori massiccj nei Presbiterj o Tribune delle Chiese, perché gli Architetti non ne intendono bene la costruzione. Per lo più una tribuna è formata da quattro archi maggiori, le cui parastadi o si toccano, o sono talmente lontane, che lasciano luogo per quattro cantoni, o per altrettante colonne isolate, che devono servire per sostenere la volta. La idea della Tribuna di S. Liberale io la ho presa da quella di S. Fantino in Venezia architettata dal Sansovino, correggendo soltanto gli sbagli, che questi commise nella costruzione della volta. Io ho fatto piombare la volta sulle quattro colonne isolate, ed egli sopra le stesse vi ha posto quattro archi concentrici a quelli della Tribuna, e sopra gli archi la volta, incorrendo con ciò in tre difetti; il primo di metter gli archi sopra le colonne; il secondo d’introdurre archi dissimili a quelli della Chiesa; il terzo di privar le colonne dell’ufficio loro immediato di sostenere la volta. Possono ancora farsi le Tribune con due archi grandi, e con due dell’ordine posti lateralmente, a lato de’ quali siaci, o non siaci di parte, e d’altra un intercolunnio. In tali circostanze si lavorerà sempre la volta a due venti, interrompendola con due lunule al di sopra degli archi medj. In altra foggia ragionevolmente non si costruiscono le Tribune, non venendo permesso d’introdurvi nuove arcature, che non sieno nel Tempio. Ricusa la buona costruzione, che all’ordine secondario il piedestallo si sottoponga. Imperciocché se lo ha anche il principale, i piedestalli insieme contrastano, quando sono proporzionali agli ordini: e se il piedestallo è comune ad ambo gli ordini; all’uno ed all’altro non può stabilirsi proporzionale. Che se il principale è a terra, i moduli dei due ordini si corrispondono in ragione troppo lontana. Siccome il porre l’ordine principale sul piedestallo, ed il secondario a terra avvicina i due moduli; così l’operar a rovescio produce un effetto contrario, che non merita approvazione. Giorgio Spavento nella per altro bellissima Chiesa di S. Salvatore in Venezia ha collocato ambi gli ordini primario, e secondario sul medesimo piedestallo, difetto condonabile al tempo, in cui fiorì quell’insigne Architetto. La Chiesa di S. Salvatore fu principiata dallo Spavento, proseguita da Tullio Lombardo, e terminata dal Sansovino. Quando s’intraprende un disegno, bisogna aver mira all’esterno, e all’interno dell’edificio, onde riesca a dovere la sua total costruzione, la quale si otterrà con molto studio, e fatica, ponendo in pratica le regole in questo, e negli antecedenti Capitoli da me spiegate.
CAPITOLO XXIII.
Della Magnificenza.
Riesce tanto più magnifico l’edificio, quanto più grande è il diametro delle colonne; e perciò le fabbriche antiche Romane, quantunque non esatte nel disegno, sorprendono chi le mira per la immensità della mole. Produce questa tal maraviglia, che impedisce frequentemente quelle riflessioni, che si farebbero, se fossero più picciole le misure dell’edificio. Dobbiamo adunque per quanto è possibile coglier vantaggio dalla grandezza: e poiché le ricchezze de’ tempi presenti sono a quelle dell’antica Roma molto inferiori, egli è d’uopo supplir con l’arte, e far comparir grandi que’ vasi, che realmente nol sono. Ho già detto, che nelle fabbriche tre maniere di strutture possiamo usare, una robusta colle colonne a terra, l’altra di mezzo colle colonne sul piedestallo, la terza gracile col piedestallo sotto le colonne, e l’attico al di sopra. La maniera robusta avrà sempre magnificenza per due ragioni: la prima perché il diametro delle colonne diviene assai grande rispettivamente alle altre due foggie: la seconda perché meno divisioni, e meno riquadri si fanno. Il motivo per cui incontra nel genio universale la picciola Chiesa di Vallà, non d’altronde deriva, che da questo principio. La colonna in essa ha piedi due, ed oncie due di diametro, il quale nella Chiesa assai più grande di S. Liberale cresce soltanto per oncie due. Nasce ciò perché nella maniera robusta l’altezza, detratta la volta, viene occupata dal zocco, falò piedestallo, dalla colonna, e dalla trabeazione, e nella maniera gracile dal zocco, dal piedestallo, dalla colonna, dalla trabeazione, e dall’ordine Attico. Supponiamo accomodata la maniera robusta alla chiesa di S. Liberale. Richiederebbesi dalla stessa l’ordine Corintio col diametro a un di presso di piedi tre, che supererebbe per oncie otto quello delle colonne, che presentemente l’adornano. Non resta per altro, che ancor la struttura del piedestallo, e coll’Attico non abbia il suo merito; poiché se manca di quella magnificenza, che ritrovasi nell’ordine a terra, ha nondimeno un’indole gentile fornita di un altro genere di bellezza. Tanto più quanto che non è possibile di adattare ad ogni circostanza l’ordine a terra, rendendosi in molt’incontri necessarie, e la maniera media, e la gracile.
Gli ornamenti troppo ricercati o levano, o scemano la magnificenza alle fabbriche. Egli è d’uopo, che formino ornamento le parti necessarie, e non più, dovendosi schivare le riquadrature, ed altre cose di simil genere. Un certo liscio, ed una giudiciosa economia di ornamenti produce certamente maestà. In fatti nella mentovata Chiesa di Vallà non sonovi riquadri di sorte alcuna, ed i quadri nella Tribuna si rendono necessarj per riempire lo spazio, che resta sopra le sedie, e per esprimere in essi i fatti principali di S. Gio: Battista, a cui la Chiesa è dedicata. Il Paladio era nell’ornar molto parco, ed anche per questo motivo riescono maestosi i suoi edificj. Le stuccature, e gli ornamenti a grottesco ad un Tempio, e ad un vaso grande tolgono la maestà, la quale non si ritroverà giammai, che nel semplice. Gli aspetti de’ Tempj Romani solevano esser formati da quattro, sei, oppure otto colonne cannellate sostenute da un rustico, e sormontate da un frontispicio, nel triangolo del quale vi collocavano un basso rilievo istoriato di marmo. Piacciono queste facciate per la loro grande semplicità, che aggiunta alla grandezza forma un non so che di magnifico, che sorprende, e che fa dire non essere più possibile di operare come han fatto i Romani, perché la buona Architettura è perduta. S’ingannano in ciò certamente, non essendo altrimenti l’Architettura perduta, bastando, che chi la esercita osservi le regole, e sfugga i raffinamenti. In somma il magnifico va congiunto con la semplicità, la qual è tanto più difficile, quanto che vi si giunge dopo aver calcate le vie più composte; avendo gli uomini il difetto, che immaginandosi molto difficile da ottenere una cosa, anziché nella semplicità, ne vanno in traccia nella massima composizione. Avviene ciò a giovani singolarmente, ai quali manca la lunga esperienza, che spiana innumerevoli difficoltà, ed insegna a conciliare la semplicità colle convenienze dell’edificio.
CAPITOLO XXIV.
Della Unità.
La prerogativa della Unità compete eminentemente all’Universo, opera prodigiosa dell’Ente Supremo, ed ha parimenti luogo nelle Arti, che furono invenzioni degli uomini. Il punto difficile sta nello scoprire i fonti, da cui l’unità deriva, e di questi appunto ne parleremo in riguardo all’Architettura. Siccome la natura è una, e varia nel medesimo tempo; così fa di mestieri, che anche le Arti nella loro unità contengano variazione. In Architettura abbiamo colonne, piedestalli, trabeazioni, arcature, volte, e cupole, e mille altri ornamenti, i quali appunto son quelli, che adoprati a dovere formano la variazione congiunta colla unità. Ho detto, che gli archi esser devono simili, e la ragione si è, perché essendo tali, conservano l’unità, e producono la variazione. Gl’intercolunnj possono, e deggiono essere diversi; ma non a capriccio; ed in quella guisa, che si usano tre arcature, maggiore, media o dell’ordine, o minima; non altrimenti tre varj intercolunnj dobbiamo adoperare, le cui larghezze in semplici ragioni si corrispondano. E qui mi dichiaro di non computare qualche strettissimo intercolunnio di mezzo diametro, o di un intero, che pure qualche volta si rende necessario nel finimento delle facciate per occupar quello spazio, che corrisponde alla muraglia di fianco, quando è assai grossa. Se nella lunghezza di una Chiesa a più navi ci siano tre arcature diverse, la picciola si ponga sempre vicina alla grande, e quella dell’ordine in mezzo a due picciole. In questa guisa si hanno le volte variate a quattro venti, a due venti, a due venti con lunule, si ottiene la medietà secondaria, e conservasi la unità, perché ogni cosa dagli archi simili, e proporzionali all’ordine è derivata. Quando le colonne sieno a dovere disposte, anche i lacunari riescono varj, succedendo il quadrato al bislungo, o al contrario con unità di vicenda. Qualora entriamo in una Chiesa, e vediamo, che le porte, le finestre, gli altari, i confessionali, ed ogni altra cosa dell’ordine secondario dipende, e che quest’ordine senza interrompimento per tutto l’edificio cammina; ci persuadiamo evidentemente, che le dette parti non possono essere né più grandi, né più picciole, e la loro concatenazione forma senza dubbio unità all’occhio sommamente aggradevole. Le cornici spezzate, i carrocci, ed altri sì fatti abusi, oltre all’esser lontani dall’istituto dell’arte nostra, ed al peccare contro la robustezza, fanno certamente perdere la unità. Resta questa pregiudicata anche dai colori, quando non sono bene accordati, il che succede parimente in un quadro privo dell’armonia delle tinte. In somma se entrando in un edificio si vede una parte, che discorda dal rimanente, ne restiam disgustati, quantunque considerata in se stessa sia molto bella. Conviene adunque disporre le cose in guisa, che il tutto formi una certa armonia, che piaccia, ed attragga per così dire lo spirito ancora senza che la ragione almeno al primo aspetto s’intenda. Pochi altari si mirano, che non sieno formati di varie pietre colorate, ed anche delle più sfacciate. Io per me non voglio altari, che di un solo, o di due colori al più, che sieno analoghi, e si accordino insieme. I capitelli, e le basi di bronzo richiedono qualche ornamento dello stesso metallo nell’antipetto, e nel frontispicio. Si può metter nel primo almeno una Croce, e nell’uno e nell’altro un basso rilievo, collocando ancora, se così piace, due statue sopra del frontispicio; onde coll’uso, e congrua disposizione di un tal metallo la magnificenza dell’altare si accresca.
Li pavimenti comunque si fanno di colori diversi, e spesso discordanti fra loro, che non contentano la vista. In fatti nella Tribuna del Santo di Padova l’accoppiamento del nero, e del rosso produce un cattivo effetto. Il più bello di tutti li pavimenti si è quello, che si compone con tre tinte, la prima alta di qualsivoglia colore, la seconda bianca, e la terza media. In questo modo è disposto il pavimento della Madonna detta della Loggia in Castelfranco. Esso è di tre colori, bianco, rosso, e carnatino, ch’è il medio, e sembra di rilievo, facendo figura il bianco di chiaro, il carnatino di mezza tinta, ed il rosso di oscuro. Bellissimo riuscirebbe il pavimento formato di pietra bianca, nera, e cenericcia, e lodevoli altresì tutti quelli, che osserveranno la legge della mezza tinta, che serva di legamento a due tinte distanti; poiché l’unità in questi casi si salva, ed in altri molti totalmente perisce.
IL FINE
NOI RIFORMATORI
DELLO STUDIO DI PADOVA
Avendo veduto per la Fede di Revisione, ed Approvazione del P. F. Gio: Tommaso Mascheroni Inquisitor General del Sant’Offizio di Venezia nel Libro intitolato: Elementi di Architettura ec. del Signor Francesco Maria Preti ec. MS. non v’esser cosa alcuna contro la Santa Fede Cattolica, e parimenti per Attestato del Segretario Nostro, niente contro Principi, e Buoni Costumi, concediamo Licenza a Giovanni Gatti Stampator di Venezia, che possi essere stampato, osservando gli ordini in materia di Stampe, e presentando le solite Copie alle Pubbliche Librerie di Venezia, e di Padova.
Dat. li 24 Luglio 1780.
( Alvise Vallaresso Riformator.
( Andrea Tron Cav. Proc. Riformator.
( Sebastian Foscarini Cav. Riformator.
Registrato in Libro a Carte 438 al Num. 1756.
Davidde Maarchesini Segr.
Adì 26 Luglio 1780
Registrato nel libro del Magistrato Eccellentissimo contro la Bestemia a Carte 95
Gio: Andrea Sanfermo Segr.