Delle tante vicende amorose contrastate che si verificarono nel territorio della Serenissima, di poche è rimasta qualche traccia nei documenti. Una di queste è senz’altro la complicata relazione sentimentale che vide come protagonisti una povera ragazza proveniente dall’est europeo e un rampollo del nobile casato dei da Campretto. Membro di una casata che era riuscita a ritagliarsi spazi fra Campretto di S. Martino di Lupari, Treville e S. Andrea Oltre Muson (TV) approdando a Treviso.[1]
I contorni della vicenda emergono dalla copiosa documentazione che contrappone due rami della famiglia da Campretto: quello legittimo, disceso dai fratelli di Boneto, e quello considerato illegittimo disceso da quest’ultimo e Caterina Bossina. I numerosi processi che si occuparono della vicenda trascinarono per decenni la storia della coppia attraverso tribunali civili ed ecclesiastici, fino ad arrivare a Roma, dove si pronunciarono anche i giudici pontifici.
Fratelli coltelli
In questa sede ci soffermiamo sul processo celebrato a Castelfranco (TV), quello che offre maggiori elementi per tratteggiare la storia di questa sfortunata coppia, aprendo interessanti squarci sulla vita e le istituzioni presenti fra ‘400 e ‘500 nella podesteria castellana. E’ un processo chiaramente favorevole a Cristoforo da Campretto, nato nel 1474, che con le testimonianze che fa produrre intende scalfire le deposizioni raccolte in precedenti processi dai cugini antagonisti celebrati nel 1508.
Il 14 febbraio del 1512 iniziano a Castelfranco gli interrogatori dei testimoni presentati da Cristoforo, figlio naturale di Boneto da Campretto e Caterina. Il primo teste convocato è Zaneto Ceserato, da S. Andrea O/M, che prima di deporre giurò nelle mani del giudice delegato e pievano Matteo de Zachis. Il Ceserato modifica parzialmente quanto avevano deposto nel 1508 i testimoni inoltrati da Elisabetta da Campretto, dichiarando che Caterina Bossina visse sempre con Boneto non solo nella sua residenza di S. Andrea, ma anche in quella di Treviso perché la “amabat et diligebat valde”.
Il testimone continua la deposizione raccontando che qualche tempo dopo l’arrivo della Bossina in casa di Boneto a S. Andrea, rimase incinta come egli stesso ebbe modo di vedere nelle sue frequenti visite all’amico Boneto. Prima che Cristoforo nascesse, il da Campretto aveva promesso di sposare la concubina com’era stato riferito al testimone da due domestici di Boneto che si chiamavano Zanantonio Bortholuffo e Franzoso.
Il Ceserato racconta che una sera fu invitato a cena in casa di Boneto il rettore della parrocchiale di Treville, tale pré Andrea. Questi raccogliendo il pianto amaro di Caterina si turbò chiedendole quali fossero i motivi di tale rattristamento. La donna rispose che Boneto le prometteva sovente di sposarla, ma non si decideva mai a compiere il passo. Allora Boneto da Campretto di fronte al prete e a numerosi altri commensali promise ufficialmente che avrebbe mantenuto quanto aveva solennemente garantito e così fu. Il matrimonio fu celebrato alla presenza del sacerdote amico, che assunse anche il ruolo di testimone di nozze (compare d’anello) e la cosa fu risaputa a S. Andrea e in tutti i paesi limitrofi.
Non appena la notizia fu riferita a Vendrame, fratello di Boneto, questi si arrabbiò moltissimo e mandò a dire agli sposi novelli che li avrebbe uccisi entrambi. Secondo il testimone la vendetta si sarebbe scagliata sulla coppia perché “Bonetus erat vir simplex et timidus, praefactus vero dominus Vendramus erat sagax et astutus”. Quindi Caterina, per volere del marito, fu costretta a nascondere l’anello nuziale e a occultarsi nelle case di S. Andrea per “aufugeret ex manibus dictorum magistri Vendrami et consanguineis”.
In ogni caso tutti sapevano che Cristoforo era figlio di Boneto, perché l’aveva più volete affermato parimenti alla moglie.
Il 16 di febbraio intervengono alla deposizione tre testimoni maggiormente informati sulle vicende narrate e cioè Bartolomeo Ceserato, Zanantonio Bortholuffo e Agostino da Ceneda.
Il primo dei tre conferma la deposizione del fratello Zaneto e aggiunge che egli stesso vide in una occasione giungere da Padova il magister Vendrame III con l’intenzione di trapassare Caterina con coltelli e spada, ma per fortuna la donna fu avvisata per tempo e si nascose in casa di Pedrino Gebelati. Donna Maria, moglie di Pietro Ospite da S. Andrea, gli aveva riferito poi che Caterina, nonostante tutto, era restia a occultare la fede nuziale per cui Boneto le diceva spesso “va et cavate quel anello” e lei replicava “perché voliu che lo cave, se io son vostra mogier?” ottenendo come risposta “io lo fazo per bon rispetto, per amor de mei fradelli”.
In un’altra delle visite a S. Andrea dei fratelli Vendrame e Giovanni Antonio da Campretto, mentre Caterina si era nascosta in casa di Pietro Ospite, i due congiunti, saputo il luogo dove si era rifugiata, vennero per rapirla minacciando il padrone di casa e la moglie Maria con queste parole: “Piero tu mi rendi male li cortelini per essere stato nostro habitador (= domestico), tu fai male a tegnir quella putana in casa”. Al che l’intrepido Pietro acceso d’ira prese una “stanga” mettendo in fuga i due fratelli.
Vedendo che qualcuno la difendeva, mentre il marito non faceva nulla, Caterina si lamentava spesso con Boneto in presenza di Maria, esortandolo ad affrontare apertamente e in modo definitivo la questione con i fratelli. Ma il da Campretto, atteggiandosi a novello don Abbondio, si limitava a rispondere che pazientasse aspettando il giorno in cui i beni comuni di famiglia sarebbero stati divisi senza correre il rischio di perderli. Come dire, meglio rischiare di vedere la moglie uccisa, piuttosto che rischiare di perdere le porzioni di eredità spettanti.
Quando Cristoforo nacque, tutti lo reputarono per figlio di Boneto e il teste ricorda un episodio al quale era presente che dimostra la familiarità dei da Campretto con personaggi di rilievo nel panorama economico e culturale del primo Cinquecento Veneto.
Un giorno giunsero a S. Andrea in casa di Boneto due illustri amici del nobile e cioè Liberale de Lusa da Feltre, che era parente del da Campretto, e Francesco Baratella da Camposampiero, discendente del famoso poeta e notaio Antonio. Questi, vedendo il piccolo Cristoforo gironzolare per la casa, chiesero al padrone se per caso l’infante fosse suo figlio ed egli rispose: “si che lo è mi fio legittimo” e gli ospiti replicarono “El non pol de negar che nol sia vostro fio perchè el ve somegia”.
Terminata la deposizione del secondo Ceserato, l’esaminatore delegato procede nello stesso giorno all’interrogatorio di Zanantonio Bortholuffo del fu Zanino da S. Andrea O/M.
Questi risponde alle domande del de Zachis ripercorrendo le orme dei precedenti testi, ma puntualizza meglio la scena della cena in casa di Boneto alla quale avrebbe partecipato pré Andrea. Il “plebanus” vedendo Caterina piangere le avrebbe, infatti, detto queste testuali parole: “voi pianseti perché son venuto a cena qui? Andarò via”, ma la donna giustificandosi rispose “jo non pianso per questo, ma pianso perché jo son gravida de messer Boneto, et sto come vedeti […] lui mi ha promesso de sposar et trazerme a honor, acio la creatura, che nascera, sia legitima, et che per lo advenir, et lei et mi, non siamo strazadi et malmenati da soi fradelli, et tamen non fa mai niente”.
Qualche tempo dopo, per interposizione del pré Andrea, i due furono sposati dal sacerdote che fece da compare all’anello e per la cena nuziale regalò ai novelli sposi una gallina che il teste, in qualità di domestico, andò a ritirare personalmente in canonica per poi spennarla.
Naturalmente il Bortuluffo fu uno dei pochi testimoni presenti al contestato matrimonio e perciò è in grado di ricordare alcuni dettagli della cerimonia visti in prima persona. Tra questi l’affermazione di inettitudine del parroco nei confronti di Boneto subito prima della predica quando pré Andrea esclamò: “messer Boneto me perdonati se jo non so usar troppo belle parole”, ricordando che Caterina dopo aver proferito il fatidico si, fece un “bello inchino” davanti al marito.
Nei giorni successivi al matrimonio, Caterina dovette vivere più in casa di Pietro Ospite che in quella del marito perché i fratelli di Boneto la ricercavano attivamente per ucciderla e Vendrame aveva detto al teste stesso che “El non se lo haverà per honor che messer Boneto la havesse sposada”. Vendrame con queste parole sembra voler opporsi al matrimonio più per questioni di onore familiare che per paura di perdere il patrimonio di Boneto che sarebbe passato un giorno a quel Cristoforo nato per sbaglio e per di più da una donna di infimo rango. Ma i sentimenti veri del medico emergono unanimi da tutte le testimonianze successive, egli si considerava l’uomo forte e dotto della famiglia, aveva sempre odiato il fratello Boneto considerandolo un incapace e un debole, non solo perché a differenza dei fratelli non aveva contribuito in alcun modo ad accrescere la fama della famiglia, ma ora anche perché era riuscito ad infangarla con una donna di strada.
Conclusa la deposizione è il turno di Agostino da Ceneda, che risiedeva da lungo tempo a S. Andrea O/M.
Questo personaggio conosce poche cose riguardanti i fatti di S. Andrea, ma essendo stato al servizio del medico Vendrame a Sacile, può illustrare meglio degli altri l’indole del personaggio, dipinto dai più come astuto e vendicativo fino a uccidere. Egli conferma e ripete che ancor prima che Boneto si sposasse con Caterina, Vendrame era già a conoscenza della loro relazione sentimentale, nonostante si trovasse a Sacile come medico stipendiato da Venezia. Il suo padrone fu subito informato quando Caterina rimase incinta, come pure delle intromissioni del presbitero Andrea che spingeva perché il rapporto dei due amanti fosse legittimato con il matrimonio. Ritenendo però che il fratello non osasse arrivare a tanto, non intervenne fino a quando ebbe la conferma che il matrimonio era stato regolarmente celebrato in chiesa. Allora “ab contractu predictum (= a causa del contratto matrimoniale) minatus fuerat interficiendi ipsum dominum Bonetum et dominam Caterinam”.
Il teste seppe in seguito da donna Polonia, moglie di Giacomino Burai, che Catterina sapendo dell’arrivo in paese di Vendrame preferì abbandonare il tetto coniugale e nascondersi in alcune case del paese per non essere uccisa. A molte altre domande il cenedese però non è in grado di rispondere e pertanto il giorno successivo furono esaminati Tonino Mason da S. Andrea, Francesco Greco da Resana e Rigo da Pogiana.
Il primo dei tre conferma le deposizioni precedenti precisando ancora una volta la ferocia vendicativa di Vendrame, che voleva a tutti costi uccidere entrambi i coniugi. Il secondo teste non si discosta di molto dalla traccia delle altre versioni deposte, pur introducendo alcuni motivi originali. Si ricorda ad esempio che Caterina entrò a far parte della vita di Boneto quando i fratelli Ceserati avevano ucciso Nicolò Marcola e in quel tempo egli aveva fissato la propria dimora a S. Andrea O/M. Un giorno mentre stava passeggiando con Boneto lo sentì dire con animo accorato: “El se dise che messer Cristophoro non è fio legitimo, ma è vero bastardo […] lasé dir a chi vole Cristophoro è mio fio legitimo, et è nasudo dalla Catharina la qual secretamente jo sposai essendo gravida, acio mei fratelli non lo sapessero, et tamen da poi la hanno saputo, et cum quelli sum coruciato”.
Giacomino non è in grado di aggiungere altro perché in seguito si trasferì in località diverse e perciò lascia il posto a messer Rigo da Pogiana del fu Baldassarre, che all’epoca dei fatti era residente a S. Andrea O/M.
Nonostante l’appartenenza allo stesso paese in cui si svolsero i fatti incriminati, il testimone non è in grado di fornire alcun elemento di novità rispetto a quanto già dichiarato dagli altri che l’hanno preceduto.
Pertanto gli subentrano in rapida successione Giovanni Battista Bortholuffo e la cognata Jacoba. Secondo il parere del primo, Boneto sposò Catterina per le interferenze di pré Andrea, ma anche perché era una donna formosa e avvenente, alla quale era impossibile resistere.
Certo che i gusti personali dei testimoni convocati dovevano essere assai diversi fra loro se quelli prodotti dall’accusa, invece, avevano asserito a più riprese che Caterina era grassa e di mediocre statura. Per donna Jacoba, moglie di Zanantonio Bortholuffo e in precedenza serva di Boneto, Caterina aveva sempre dormito nel talamo coniugale di Boneto, prima e dopo il matrimonio. Riporta un episodio della quale era stata protagonista assieme alla Bossina. Un giorno, mentre le due donne stavano facendo le pulizie di casa e riassettando il letto di Boneto, Caterina disse a donna Jacoba: “messer Boneto dorme qui in sponda, et mi in calesela (= in mezzo al letto)“. Alle altre domande la donna risponde confermando i verbali precedenti e attribuendo a Cristoforo i natali legittimi di Boneto.
Rispetto ai verbali del processo avverso del 1508 redatti in base alle deposizioni dei testimoni presentati da Elisabetta e dai suoi figli, in quelli appena esaminati si nota il tentativo di occultare tutti gli aspetti negativi della storia personale e del dramma umano di Catterina. Con particolare riferimento al suo successivo matrimonio farsa con Giorgio Sclabone (evidentemente nullo e servito semplicemente da copertura agli occhi di Vendrame e fratelli che però non si lasciarono ingannare) e alle sue avventure sentimentali mercenarie con i vari personaggi riferiti nelle relazioni della parte avversa a Cristoforo. Si nascondono volutamente anche la misera morte della Bossina e tutta la vicenda legata ai rapporti, poi trasformatisi in matrimonio (pure questo nullo), fra Boneto e Meolda de Cesirati, per incentrare tutto il contenuto delle deposizioni sulla legittimità della nascita di Cristoforo e sulla demonizzazione di Vendrame e, più in generale, dei fratelli di Boneto. Pur essendo filtrati da una lettura soggettiva dei fatti, i verbali della difesa di Cristoforo sembrano fare luce su alcuni aspetti rilevati in precedenza anche dall’accusa, che però in quella sede istruttoria erano stati dipinti ad arte con tinte fosche. E’ il caso ad esempio delle fughe di Caterina presso varie abitazioni del paese di S. Andrea dovute al timore della vendetta di Vendrame e fratelli, che nelle intenzioni dei testi prodotti da Elisabetta si trasformano in fughe d’amore licenziose con altri uomini.
Anche la decisione di Boneto di far occultare l’anello nuziale alla moglie, per il solito timore di vendette da parte dei consanguinei del da Campretto, nelle interpretazioni effettuate dai testimoni del 1508 si trasforma automaticamente in un indizio probante che starebbe a dimostrare come il matrimonio fra i due non sarebbe mai avvenuto.
Ma chi era Caterina Bossina? Che ritratto ne danno coloro che l’hanno conosciuta?
Negli atti del processo avverso del 1508 l’ortolano Beltrame del fu Gasparo Roncini da S. Andrea O/M, rispondendo alle domande dell’esaminatore afferma che il primo incontro fra Boneto e Catterina avvenne quasi per caso, mentre questa vagabondava di paese in paese, appena trentenne, cercando qualche buon partito per accasarsi.
Giunta a S. Andrea O/M e vedendo che Boneto III da Campretto aveva una bella casa in muratura e ampi possedimenti, cercò in tutti i modi di circuirlo e di ammaliarlo con le proprie doti femminili riuscendo nell’intento, al punto che cadde nella rete tesa dalla donna, “captus fuit amore” per lei.
Caterina, detta la Bossina, dimorava presso Boneto in qualità di concubina e nel frattempo non si preoccupava di frequentare anche altri uomini, fra i quali un certo Bagoncio Moscatello che, secondo l’opinione del teste, doveva essere ritenuto a tutti gli effetti il vero padre di Cristoforo perché si vantava pubblicamente di avere avuto diversi rapporti sessuali con la donna.
Richiesto delle generalità della donna, l’ortolano dichiara che Caterina era di statura media e soprattutto “alba” cioè bionda, un particolare questo che ritornerà nelle deposizioni di tutti i giurati successivi, quasi a volere contraddistinguere un tratto somatico piuttosto raro allora e proprio per questo distintivo e simbolico. Per il testimone Beraldo spiega le origini della donna quando dichiara che era “illirica”, cioè slava e forse zingara. Era giunta in Italia passando per Venezia in tenera età perché all’epoca dei fatti, quando aveva circa venticinque anni, conosceva benissimo il dialetto trevigiano.
Secondo Bertino del fu Menego Lorenzini da Monastiero di Campretto Caterina prima di arrivare nell’abitazione di Boneto a S. Andrea, era stata concubina e domestica dei fratelli Oliviero e di Vendrame III. In un secondo tempo il terzo fratello Giovanni Antonio da Campretto l’avrebbe inviata al fratello Boneto con le stesse mansioni. Da più parti traspare dunque che Caterina fece da concubina a tutti i fratelli da Campretto e lo stesso Vendrame non si era fatto scrupoli nell’etichettarla pubblicamente a S. Andrea O/M con l’epiteto di “puttana”.
Tragica fine di una donna che aveva sognato la felicità
Prima che Catterina partorisse, Boneto la allontanò da casa propria, premurandosi però che qualcuno la sposasse e quel tale fu Giorgio Sclabone, un salariato della fattoria di Tolomazo da Monastiero, che la condusse ad abitare in un casone del padrone situato nello stesso paese nella località detta “el sboxa”. Qui nacque Cristoforo il quale fu allattato dalla madre per qualche anno, fino a quando Boneto decise di prenderlo e di accoglierlo definitivamente in casa propria a S. Andrea. Il Beraldo su questo punto precisa che Cristoforo rimase con la madre nei suoi primi dieci anni di vita circa, mentre Caterina prima di rimanere incinta era rimasta in casa di Boneto per altri due anni circa.
Le deposizioni di altri testimoni sostengono che Caterina, rimasta senza il figlio, continuò la sua vita a Monastiero assieme al presunto marito di copertura Sclabone per circa sei anni.
Stanca della vita sedentaria e di condurre una vita da serva, Caterina a un certo punto decise di abbandonato il tetto coniugale per trasferirsi per un anno nel casone di un tale Giovanni da Como che aveva conosciuto per strada a Monastiero. Questi questi era “stipendiario” ovvero un “armigero” mercenario. Dalla relazione con il soldato Caterina contrasse il “morbo gallico seu leprulae”, cioè la lebbra.
Poiché la donna era ammalata, il mercenario la scaricò a un tale Barberio da Campretto, il quale contrasse a sua volta il morbo come tanti altri di Monastiero e dei paesi vicini che in quel periodo la frequentarono come prostituta.
Ormai sfruttata da tutti, visibilmente ammalata e mezza moribonda, la Bossina fu infine caricata su una mula e rispedita al presunto marito Sclabone, il quale però non volle più sentirne parlare e pertanto la rifiutò rinviandola al mittente, cioè al Barberio. Quest’ultimo allora s’incaricò di inviare Catterina al lazzaretto di Treviso dove la donna terminò la sua sfortunata esistenza.
E Boneto?
Matteo Grossato del fu Giovanni da Monastiero e all’epoca dei fatti risiedeva in casa dei Tolomazzi ed era amico di Giorgio Sclabone, seppe che Boneto pur di fargli sposare la Bossina le aveva pagato anche la dote. Boneto, dopo aver liquidato la sua storia amorosa con Catterina, non avesse perso il vizio di frequentare altre donne del paese di S. Andrea e così fu visto più volte di notte entrare furtivamente nella stanza da letto della vedova Meolda de Cesirati, ritornata nella casa paterna dopo la morte del marito. Per ben quattro notti fu scoperto mezzo nudo e in atteggiamenti inequivocabili nel letto della vedova e così i di lei fratelli l’obbligarono a sposarla per salvare l’onore della famiglia.
Sicuramente la famiglia dei Cesirati trasse non pochi vantaggi dall’acquisita parentela con un clan economicamente più forte come quello dei da Campretto e questo motivo spiega l’iniziale tolleranza delle inequivocabili visite notturne di Boneto in casa Cesirati, quel tanto che bastava perché arrivasse il tempo di togliere le castagne dal fuoco obbligando il signorotto a sposarla.
Un altro teste, tale Giovanni Giacomo Sarto, dirà in modo più esplicito che fra gli scopritori del rapporto fra i due c’era anche Marco Zubolati da Resana e che i fratelli di Meolda videro Boneto “causa habendi rem carnalem cum ea” e perciò “fuit ab eis constrictus illam desponsare” e tutto ciò mentre Caterina era ancora in vita.
Potrà sembrare strano a qualcuno che fra i “guardoni” notturni della relazione clandestina fra il da Campretto e la vedova Meolda sia annoverato anche qualche personaggio estraneo alla famiglia. Ma tutto questo fa parte del gioco che vede come protagonista l’ingenuo Boneto. Per riuscire a incastrare il signorotto con un matrimonio forzato e sicuramente di convenienza per i Cesirati, occorrevano dei testimoni non consanguinei della donna disonorata, quindi al di sopra di ogni sospetto, e proprio per questo degni di credibilità di fronte alla gente.
Del resto i parenti acquisiti da Boneto non erano certo stinchi di santi. I fratelli di Meolda, Antonio, Giacomino e Guglielmo Ceserati oltre ad essere personaggi di rilievo nell’economia castellana[2], avevano il coltello facile. Infatti, nello stesso periodo del quale stiamo parlando, cioè gli ultimi anni del Quattrocento, i fratelli Ceserati avevano ucciso per motivi sconosciuti un tale Nicolò Marchola e il fatto doveva sicuramente essere rimasto impresso nella memoria di Boneto quando si vide recapitare a casa l’amante Meolda con l’obbligo di sposarla.
Matteo Coizan del fu Giovanni Coizani da Campretto asserisce infine che Boneto fu l’ultimo della famiglia a morire e aveva tutti molti beni a S. Andrea. Così poté lasciare al figlio naturale la propria quota di eredità che fu contesa per oltre quarant’anni dai parenti serpenti.
[1] Per la storia di questa famiglia, che ebbe dimora anche a Treviso, rinvio a C. Miotto, P. Miotto, Campretto, storia di un territorio e della sua antica comunità, S. Martino di Lupari 1997, pp. 314-382.
[2] B.C.CV., Estimi, Reg. 23, 1546-1555, Monastier, 1548, i Ceserati detti indifferentemente da Campretto o da S. Andrea O/M appartenevano alla categoria dei cittadini di Castelfranco, cioè dei benestanti possidenti del castello. Contando i possedimenti propri e quelli che lavoravano per conto del ramo da Campretto discendente da Boneto III conducevano più di 56 campi nel solo paese di Monastiero.