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La chiesa storica di S. Martino di Lupari opera di Giorgio Massari

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 Una premessa

Uno dei costanti problemi che afflissero la parrocchia di S. Martino di Lupari dal Cinquecento fino agli anni Quaranta del XX secolo, derivò dal consistente incremento della popolazione che in circa cinque secoli passò dai 1.200 abitanti del 1599 ai 9.268 del 1941.[1]

Di riflesso, accanto alle grandi trasformazioni economiche, sociali, insediative e fiscali che l’incremento demografico comportò, fu necessario procedere al costante ingrandimento o alla ricostruzione delle chiese della parrocchia. In un’epoca nella quale la quasi totalità della popolazione frequentava le chiese cristiane, si assiste ad una sostanziale tenuta degli impianti edilizi cultuali originari nelle campagne e nei villaggi minori, mentre nel capoluogo avviene il processo inverso, con la continua modificazione e l’ampliamento della chiesa parrocchiale dedicata a S. Martino vescovo di Tours. All’inizio del XVIII secolo l’incremento demografico era davvero insostenibile per la vecchia chiesa cinquecentesca che, nel 1605, misurava circa 10,72 metri per 32,16 e che alla fine del XVII secolo doveva fare fronte ad una popolazione di circa 3000 abitanti.[2]

I falliti tentativi di ampliamento della chiesa rinascimentale

Date le circostanze, non desta meraviglia se all’inizio del Settecento si pensò di risolvere la difficoltà nel modo più logico ed economico possibile, vale a dire tentando di ingrandire la chiesa antica prolungando la zona presbiterale e allungando un po’ l’aula rettangolare in direzione est.[3]

 I primi interventi sulla vecchia struttura ebbero pertanto lo scopo di alleggerire il problema della capienza, allungando leggermente l’aula nell’unica direzione possibile, quella ad oriente, senza peraltro riuscire a produrre soluzioni efficaci nel tempo. La scelta della ristrutturazione, infatti, poteva essere eseguita in economia solamente prolungando uno dei due versanti est o ovest, diversamente, infatti, si sarebbero dovute demolire le pareti più lunghe incontrando spese maggiori ed esponendo la struttura al costante pericolo di crollo. Alla fine si decise di intervenire sul lato orientale perché il solo sgombro tanto da edifici e strade, quanto dall’area cimiteriale che, invece, delimitava tutti gli altri versanti della chiesa. Sul lato occidentale inoltre si poneva il problema del campanile, situato in una posizione eccessivamente vicina alla chiesa. In definitiva, se la scelta dell’ampliamento rispondeva alla logica del contenimento delle spese, quella logistica, invece, derivava da limitazioni ambientali e cimiteriali.

Il 29 marzo del 1717, pertanto, fu presa Parte dal Popolo, ch’é il Fondatore, di nuova Rifabrica d’essa Chiesa con ingrandimento maggiore; nel qual tempo anche si diede principio, per cui create furono otto Persone de Principali col Titolo di Deputati alla Fabrica.[4] L’arciprete Tonati, che scrive queste parole solo nel 1777, non sapeva che in realtà vi era stato un primo tentativo di ampliamento e non di ricostruzione. Alcuni documenti curiali dimostrano che nel 1717 le intenzioni dell’arciprete Syz erano solamente d’ingrandire una parte della chiesa e non ricostruirla ex novo. Solamente in un secondo momento lo stesso pievano decideva di ricostruire totalmente l’edificio, verificando che il tentato ingrandimento dell’abside non aveva risolto i problemi.

Il 29 marzo del 1717, pertanto,  il pievano Giangiacomo Syz chiedeva  e otteneva dalla curia vescovile il necessario permesso di poter demolire la vecchia area presbiterale, che conteneva la cappella maggiore e l’altare dedicato a San Martino, per procedere alla realizzazione dell’ingrandimento della chiesa nel solo settore orientale. Dell’esito di questi lavori si conosce poco, giacché non fu richiesto alcun permesso di benedizione. Di sicuro nell’estate del 1725 si era proceduto al generale ampliamento del settore absidale progettato nel 1717 e alla ricostruzione di un nuovo presbiterio, ma nel frattempo qualcosa era cambiato: si era deciso di ricostruire ex novo la chiesa abbandonando l’idea di un parziale ingrandimento della stessa.[5]

Cambio di rotta: dall’ampliamento della vecchia chiesa alla ricostruzione del nuovo edificio

Nel giugno del 1725 il vescovo Augusto Zacco giungendo in parrocchia trovò il cantiere della nuova chiesa brulicante di maestranze e manovalanza. Erano terminati da qualche anno i lavori inerenti al primo ampliamento absidale e si stava approntando l’esecuzione dell’altare maggiore in pietra, per il quale l’arciprete Syz, nel 1729, chiedeva e otteneva dal vicario generale di Treviso il permesso di procedere alla benedizione del manufatto, essendo de novo eleganti, ac in ampliore forma de mandato constructae, grazie alla realizzazione del nuovo tabernacolo marmoreo che fu ultimato in quattro anni.[6] Non sappiamo se l’architetto Massari sia stato l’artefice già del vecchio progetto relativo all’ampliamento, come vorrebbe Antonio Massari, discendente  e studioso dell’antenato, a causa del solito equivoco che vede nel 1717 l’anno della ricostruzione dell’edificio e non già quello del solo parziale ampliamento.[7] La presenza del Massari nel biennio 1725 appare però più probabile, non solo perché il nuovo arciprete Marangoni, a differenza del predecessore, prediligeva fare le cose in grande e non si accontentava di semplici ristrutturazioni, come si può vedere anche nel caso analogo relativo all’edificio della canonica, ma anche perché il nuovo progetto non rispettò assolutamente le modifiche absidali elaborate nel 1717.[8] Tollerò la ricostruzione absidale finché servì, poi la eliminò. Di certo l’idea di sostituire il progetto iniziale con quello di una ricostruzione complessiva fu attuato durante il mandato dell’arciprete Syz. La visita pastorale del 7-9 giugno 1725,[9] infatti, pur nella laconicità dei riferimenti ai lavori che si stavano effettuando nella  chiesa, ricorda che il vescovo Augusto Zacco nel visitarla trovò solamente il nuovo altare maggiore con il vecchio tabernacolo di legno e l’altare di S. Valentino ut non sint alia Altaria quoniam Ecclesia ipsa de novo raedificata.[10]

Mancavano tre dei precedenti altari di legno perché si stava procedendo alla riedificazione della chiesa. Le parole ipsa de novo raedificata, però, non devono trarre in inganno, come se la chiesa a quella data fosse già stata ricostruita, perché nella stessa visita si usa anche un’espressione più chiara quando si sofferma sul nuovo Tabernacolo per la chiesa nuova, che si va fabricando, per non parlare dei documenti di epoca successiva che attestano una progressione lenta  nell’esecuzione dell’edificio.[11] Il fatto che nel 1725 il presule trovasse spostati tre altari, mentre tutto il resto era al proprio posto vidit tandem Confessionalia, Baptisterium, Sacristiam, Paramenta, Calices, Patenas, Missalia, cum tamquam Suppelletilem Sacram […] S. Reliquias […], fa propendere per una ricostruzione che inizialmente salvò la scatola muraria originaria permettendo al cantiere di procedere tutt’intorno, conglobando la vecchia chiesa.[12] Il presule in sostanza vide il nuovo presbiterio edificato fra il 1717 e il 1725 agganciato alla vecchia struttura, dando alla chiesa la probabile forma di un proiettile ogivale, con al centro l’altare di marmo. Tutto il resto, con l’eccezione di tre altare di legno, si trovava al proprio posto per consentire l’uso liturgico domenicale ordinario, senza ricorrere ad altre chiese che non erano assolutamente in grado di recepire la popolazione luparense, evitando nel contempo di interferire con situazioni particolari, come quella di Monastiero, dove da secoli regnavano incontrastati gli attriti con la parrocchiale. Le uniche richieste pervenute alla curia vescovile di celebrare fuori della parrocchiale, infatti, esulano sempre dalla presenza del cantiere. Nel 1729, ad esempio, il pievano chiese il permesso alla curia vescovile di potere celebrare la messa nella chiesetta di S. Maria delle Grazie per il semplice motivo che il 15 di agosto ricorreva la festa patronale dell’Assunta e non per altre questioni.[13] Lo stesso avevano richiesto tre mesi prima i frazionisti secessionisti di Monastiero, reclamando il privilegio di potere assistere alla messa nella propria chiesa succursale e non in quella arcipretale, a causa della distanza della Chiesa campestre di S. Biasio dalla matrice.[14]

Meno di due mesi dopo la concessione della benedizione del nuovo altare, l’anziano arciprete decideva di dare le proprie dimissioni, all’età di 75 anni,[15] in favore del rettore della chiesa di Galliera, che altro non era che il trentottenne luparense Giovanni Marangoni, sacerdote proveniente da famiglia ricca e legato al potente vescovo di Belluno e abate commendatario di S. Eufemia Gaetano Zuanelli.[16]

La facciata della chiesa progettata dall'architetto Giorgio Massari in una foto scattata il 28 ottobre 1945, in occasione della traslazione dell'urna con le spoglie mortali di San Defendente martire.

La facciata della chiesa progettata dall’architetto Giorgio Massari in una foto scattata il 28 ottobre 1945, in occasione della traslazione dell’urna con le spoglie mortali di San Defendente martire.

Gli anni della costruzione (1725-1744)
 

Il nuovo arciprete si trovò a dovere gestire un’eredità pesante, ma con tutta probabilità era stato scelto oculatamente proprio perché, essendo di famiglia benestante e per di più del luogo,[17] avrebbe potuto con maggiore facilità smuovere le acque e incitare la popolazione ad offrire il denaro e la manodopera necessarie per ultimare i lavori. Non va dimenticato che di pari passo con la costruzione della nuova chiesa, il Marangoni attuò anche la ricostruzione ex novo della fatiscente canonica affidandone il progetto allo stesso Massari e commissionò a Bartolomeo Ferracina l’esecuzione del costoso orologio del campanile ancor oggi esistente.[18] Il Marangoni può dunque essere considerato l’uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto, anche se incontrò non poche difficoltà nel portare a termine questa vasta campagna di lavori.

Quando il Marangoni diviene arciprete, la chiesa nuova era ancora in uno stato embrionale e si presentava con una pianta curiosamente insolita. Al nuovo arciprete spettò dunque la continuazione dei lavori che, partendo dalla nuova abside, consentirono al novello edificio di allargarsi e allungarsi conglobando la vecchia struttura. Il cantiere procedette inizialmente sul lato nord, come appare dalla progressione della costruzione degli altari. Nel mese di aprile del 1730 veniva rilasciata al Marangoni la licenza di benedire il nuovo altare marmoreo erectum in honorem B.M.V. sub titulo SS. Rosarij.[19]

Questo altare si trovava nella cappellina mediana della parete settentrionale che, essendo posta in profondità, permetteva di essere realizzata senza intaccare la vecchia struttura che rimaneva all’interno del perimetro in costruzione. Di sicuro la realizzazione di questo settore comportò la demolizione del seicentesco oratorio familiare, quasi subito aperto ad uso pubblico, eretto dalla cittadellese famiglia dei Forlani.[20] I lavori in corso non turbavano minimamente il normale utilizzo della vecchia chiesa come si è visto per le messe domenicali, ma anche per altre questioni legate alle sepolture all’interno dell’edificio di culto.

Le famiglie più in vista del paese che da secoli avevano diritto di sepoltura nella vecchia chiesa, infatti, continuano ad utilizzare le tombe anche dopo l’inizio dei lavori per il nuovo edificio. Ma non solo, nel 1729 inizia una nuova serie di sepolture scavate all’interno della vecchia chiesa, previo permesso del vescovo di Treviso, che, nella visita pastorale del 1725, era stato tassativo in merito.[21] Fra le nuove tombe merita di essere ricordata quella predisposta nel 1737 per Mattio Brunati (ramo degli Agnoli), massaro della fabbrica della chiesa in costruzione e parente di quel Mattio Brunato (ramo dei Baldissera) che era il possessore del limitrofo palazzo delle suore.

 I lavori di allargamento della chiesa sul versante nord intanto erano stati effettuati a scapito della porzione di cimitero posta in quella direzione, motivo per cui il Marangoni doveva allargare i confini del camposanto e chiedere la licenza di benedire quella nuova fetta di terreno. L’autorizzazione era concessa il 7 gennaio del 1737: Ut partem Coemeterii de praefacta Ecclesia de novo constructam adhibitij solitis et consuetis Orationibus.[22] Passano gli anni e il cantiere avanza anche nel settore meridionale.

Nel 1742 al Marangoni era concessa la facoltà di benedire un secondo altare dedicato a San Martino vescovo, noto anche come altare di S. Filippo apostolo perché abbellito con la vecchia pala della Madonna della Cintura, nella quale, fra vari santi, compare pure anche S. Filippo.[23] Si tratta di un nuovo altare costruito nella prima nicchia o cappella minore posta all’inizio della parete destra della chiesa, fra l’ingresso principale e il successivo altare della Madonna del Carmelo o di S. Defendente., segno che quel tratto di parete era ultimato già da qualche tempo.[24]  L’ultimazione dell’opera muraria esterna si ha nel 1744, epoca nella quale verosimilmente si procede anche alla definitiva demolizione della chiesa vecchia e alla posa in opera del tetto.

Il campanile seicentesco che svetta sulla chiesa storica dalla Piazza di S. Martino di Lupari.

Il campanile seicentesco che svetta sulla chiesa storica dalla Piazza di S. Martino di Lupari.

Nuove modifiche e l’opera ultimata (1745-1774)
 

Ultimato il nuovo edificio, fu chiaro a tutti che qualcosa appariva stonato; il risultato estetico complessivo dell’opera, infatti, era rovinato e compromesso dalle dimensioni modeste del presbiterio e dell’altare maggiore fatti edificare dal Syz fra il 1717 e il 1729. Per questo motivo l’arciprete, su ispirazione del Massari, decideva prima di fare demolire l’abside edificata dallo Syz per sostituirla con quella più estesa ora visibile, e in seguito, nel 1745, chiedeva e otteneva dalla curia il permesso di demolire anche l’altare maggiore fatto costruire nel primo trentennio del Settecento. Era ormai a buon punto, infatti, la realizzazione della creatura del Marangoni, cioè il terzo nuovo altare maggiore che, per i costi elevati, nel 1745 era ancora costruendi in elegantiorem formam. [25]

Il nuovo altare era stato concepito in posizione più arretrata, verso oriente, rispetto a quello precedente dello Syz, dove lo vediamo ancora oggi, con lo scopo di dividere l’aula dal presbiterio, conferendo al nuovo ambiente quell’ampiezza e quella luminosità che contraddistinguono le chiese del Massari. Non ancora terminato l’altare maggiore, il Marangoni chiese il permesso di demolire il precedente altare per l’esigenza di recuperare qualche pezzo marmoreo del vecchio altare, forse il prezioso tabernacolo di marmo che era stato elaborato nel corso di ben tre anni (1725-1729).

Nel 1744 la chiesa era ultimata da poco e ancora una volta si rendeva necessario ampliare l’area settentrionale del cimitero per recuperare il terreno sottratto nel settore nord-ovest dell’edificio.[26] Per questo motivo l’arciprete doveva ancora una volta chiedere alla curia vescovile il permesso di allargare il cimitero, occupando parzialmente anche certa stradella che conduce alla canonica, in modo da configurare l’area del camposanto in forma sferica. Ma non fu l’unica modifica perché, approfittando dei lavori in corso, l’arciprete scriveva: accioché poi allora fuor del cemetero vi sia un spazio conveniente, o sia piazzetta a comodo della gente, (il Marangoni) domanda licenza di poter convertire parte dell’orto di ragione del beneficio in uso commune colla mia ancora di dare aria, e venustà (= bellezza) alla chiesa.[27]

Nasceva così, nel 1744, il primo nucleo dell’attuale Piazzale Pio X, in parte per necessità logistiche e in parte per seguire i nuovi canoni estetici e funzionali alla società paesana che chiedeva uno spazio che oggi definiremmo il centro del paese. Conclusa la parte architettonica della chiesa, i lavori procedettero all’interno per completare gli altari mancanti, affrescare il soffitto e le tre sacrestie, pavimentare la chiesa. Nel mese di ottobre del 1745 i lapicidi avevano quasi ultimato il loro lavoro sull’altare maggiore consegnando al paese un pezzo pregevole di storia ex marmore erectum.[28]

Nel 1749 erano approntate le due statue di S. Pietro e S. Paolo, opere dello scultore Tommaso Bonazza, che trovavano sistemazione ai lati dell’altare maggiore.[29] Nello stesso anno si era quasi concluso anche il primo dei quattro altari minori, quello dedicato al Crocifisso, che si trovava sulla parete settentrionale, fra il presbiterio e l’altare del Rosario. Anche questo era novum marmoreum e si rilasciò la licenza di benedirlo, ma non di consacrarlo.[30] La visita pastorale del 1756, che é la terza dall’inizio dei lavori di riedificazione, segna una tappa importante per conoscere alcuni dati sulla progressione dei lavori. I giorni 10-13 maggio del 1756 giungeva in parrocchia, proveniente da Abbazia Pisani, il vescovo Paolo Francesco Giustiniani per la sua prima visita pastorale in diocesi[31]. L’arciprete Marangoni rispondendo al questionario d’obbligo affermava fin dalle prime battute questa Parrocchiale […] é stata modernamente rifabbricata, e ancora non é compita, é d’una sola navata con sette cappelle, é situata nel Territorio Padoano. Ha per confine a Levante Orto dell’Illustrissimo Signor Francesco Brunatti, a mezzodi pubblica Strada, a ponente Piazza ed a Tramontana Strada Consortiva.[32]

Dunque, in quell’anno i lavori non erano ancora terminati perché Vi sono cinque altari, su quali si celebra, ma due soli sono compiti, cioè quello del SS.mo Sagramento e quello della B. V. del Rosario. Il Titolo degli altri 3 é San Martino V. Titolare, S. Giambatta, e S. Valentino [del Crocifisso]. Sono mantenuti al bisognevole dalla Veneranda Fabbrica, a riserva di quello della B. V. del Rosario che viene proveduto dalli Massari.[33] Procedendo in processione nella visita della chiesa, il vescovo osservò con ammirazione e soddisfazione che sulla facciata della chiesa, sopra la porta principale, era stato appeso lo stemma della sua famiglia, quindi entrò nell’edificio iniziando a visitare i cinque altari. Partendo dall’altare maggiore lo giudicò optime […] per elegans et magnificus e di stile romano. Quindi ammirò il tabernacolo marmoreo, pure elegans, che custodiva il SS.mo Sacramento. Nel pomeriggio ritornò in chiesa per completare la visita degli altri altari partendo da quello di S. Giovanni Battista e di seguito quelli del Rosario, di San Martino o del SS.mo Sacramento, che custodiva un quadro con dipinti vari santi che ancora oggi si può ammirare nel duomo nell’altare di S. Defendente. Per ultimo ispezionò l’altare del Crocifisso dove vide una pala raffigurante lo stesso soggetto in mezzo a S. Valentino e S. Francesco da Paola. Tutti avevano la pietra sacra ed erano di marmo, ma il verbalista della visita non annota altro a loro riguardo. Il notaio curiale ricorda che in questa Chiesa Magnifica c’era un battistero nuovo, tutto ricoperto di rame fatto costruire nella quaresima del 1755,[34] vicino al quale era conservato anche quello più antico.[35] Prima di andarsene, il visitatore esortò il clero, la popolazione e specialmente il Marangoni, ad accrescere l’impegno loro di rendere perfettamente compiuta in ogni sua Parte questa stessa Chiesa a gloria sempre Maggiore di Dio, e per compimento pure della Nostra Esultanza.[36]

Sebbene il cantiere fosse ancora aperto, il 1 settembre del 1757 gli amministratori e i curatori dell’opera resero conto al popolo radunato dei lavori fino allora effettuati e si volle eternare il fatto con una lapide nera, infissa nella parete meridionale, sopra la porta laterale, che recita nel seguente modo:

 

ECCLESIA HAEC EJUSQUE CURATORES QUIQUNQUE UT JAM ANTE

EX OMNI MEMORIA SIC ET IN POSTERUM TARVISINAE PRAETURAE

ADDICTI SUNTO ET REI ADMINISTRATAE RATIONEM HUIC UNIRED.

DUNTO EX TOTIUS POPULI CONVENTU ET EX SENATUSCONSULTO

VIICAL. SEPTEMB. MDCCLVII

BARTHOLOMEUS GRASSI PRAET. ET PRAEF. TARVISINUS

MEMORIAM P. M.

 

L’anno successivo, nel 1759, venendo meno i fondi necessari per continuare i lavori all’interno della chiesa, il Marangoni chiedeva il permesso alla curia di potere vendere almeno una parte del materiale ricavato dalla demolizione della vecchia chiesa ut in res utiliores inpendantur.[37] Nello stesso anno si ultimava il sesto altare di marmo nella cappella centrale della parete meridionale della chiesa, dedicandolo alla B. V. del Carmelo, poi meglio conosciuto come altare di S. Defendente, e si concedeva facoltà all’arciprete di benedirlo e di ornarlo come meglio conveniva.[38] L’altare é oggi visibile nel transetto di destra del duomo dove campeggia la settecentesca statua lignea di S. Defendente e posteriormente la pala seicentesca di Giovanni Battista Novello da Castelfranco.

Rimaneva da edificare solamente l’ultimo altare, quello della cappellina della parete settentrionale, situata fra l’altare del Rosario e la nicchia del fonte battesimale. Non sappiamo in quale data questo fu realizzato, in ogni caso nel periodo compreso fra il 1760 e il 1774, assumendo il titolo di S. Nicola da Tolentino. La consacrazione solenne della chiesa avvenne il giorno 1 maggio 1774, per opera dell’arciprete Antonio Tonati che curò l’abbellimento interno dell’edificio per vari decenni. Da allora, la chiesa storica dell’architetto Massari ha subito molte modifiche e parziali demolizioni, verificatesi quasi tutte nel XX secolo, rischiando nel 1922 di essere addirittura demolita per fare posto al nuovo duomo che, fortunatamente, fu costruito poche centinaia di metri più ad oriente.

L'interno della chiesa storica negli anni Sessanta. Nel soffitto sono visibili gli affreschi di Gaspare Diziani.

L’interno della chiesa storica negli anni Sessanta. Nel soffitto sono visibili gli affreschi di Gaspare Diziani.


[1] Questo saggio trae spunto per l’ambientazione di riferimento dallo studio di C. MIOTTO, P. MIOTTO, Il complesso architettonico monumentale di San Martino di Lupari fra storia e arte, Amministrazione comunale di S. Martino di Lupari 1998, III° vol. della Storia di San Martino di Lupari.

[2] A. CITTADELLA, Descrittione di Padoa e suo territorio con l’inventario Ecclesiastico. Brevemente fatta l’anno salutifero MDCV et in nove trattati compartita con tavola copiosa, trattato VI, pp. 159-160

[3] Finora tutti quelli che si sono occupati della chiesa storica luparense hanno asserito che questa fu concepita e realizzata pensando fin dall’inizio alla demolizione di quella precedente. Il primo a suggerire questa ipotesi a tutti quelli che seguirono fu l’emerito canonico trevigiano Carlo Agnoletti (Treviso e le sue pievi, Treviso 1898, vol. II, p. 374) seguito a ruota un paio di decenni dopo dall’arciprete di Camposampiero Luigi Rostirola nelle sue note indirizzate e utilizzate dall’amico Giovanni Bernardi. In realtà, la scoperta di nuovi documenti d’archivio dimostra che originariamente, nel 1717, l’arciprete Syz aveva pensato solamente ad un ampliamento della chiesa allora esistente. Solamente in un secondo tempo, a partire dall’anno 1729, l’arciprete Marangoni decise di procedere alla totale ricostruzione dell’edificio sacro.

[4] ACVTV, Visite pastorali, b. 45, fasc. 12, 19 giugno 1777.

[5] Ibidem, Visite pastorali antiche, b. 25, Reg. 1724-1725, cc. 435-445, 7-9 giugno 1725.

[6] Ivi, Actorum, 1728-1731, b. 56, 1 aprile 1729.

[7] A. MASSARI, Giorgio Massari architetto veneziano del Settecento, Neri Pozza Editore, Vicenza 1971, pp. 26-27.

[8] Pur in assenza di documenti probatori coevi, la progettazione della chiesa, e probabilmente anche la direzione dei lavori, fu assegnata a Giorgio Massari come risulta da indubbi elementi stilistici e dalle attestazioni di storici dell’Ottocento, quindi di poco successivi all’erezione dell’edificio. Si vedano in proposito: D. M. FEDERICI, Memorie Trevigiane sulle opere di disegno dal mille e cento al mille ottocento, Venezia 1803, vol. II, p. 142; L. CRICO, Lettere sulle belle Arti Trivigiane, Treviso 1832, p. 314; C. AGNOLETTI, Treviso e le sue pievi, Treviso 1898, vol. II, p. 374.

[9] ACVTV, Visite pastorali antiche, b. 25, Reg. 1724-1725, cc. 435-445, 7-9 giugno 1725.

[10] Ibidem, cc. 439 v-440 r.

[11] Ibidem, c. 440 v.

[12] Ibidem, c. 440 r. La stessa cosa avviene per la costruzione del duomo di Castelfranco, progettato da Francesco Maria Preti, con l’innalzamento del nuovo edificio che congloba parzialmente il vecchio fino all’ultimazione dell’opera e alla conseguente demolizione della vecchia scatola muraria a lavori conclusi.

[13] ACVTV, Actorum, b. 56, aa. 1728-1731, 12 agosto 1729.

[14] Ibidem, 12 aprile 1729.

[15] Ibidem, aa. 1697-1730, c. 43, 22 giugno 1729.

[16] C. MIOTTO, P. MIOTTO, Il territorio di Villa del Conte nella storia, Comune di Villa del Conte 1994, pp. 745-753.

[17] Giovanni Marangoni, figlio di Girolamo e di Maria, nacque il 22 settembre del 1690 e morì il 24 ottobre 1771. Fu l’unico arciprete luparense ad avere la cura d’anime nel paese natio.

[18] C. MIOTTO, P. MIOTTO, 1998, cit., 285-288.

[19] ACVTV, Actorum, 13 aprile 1730.

[20] I Forlani, nota stirpe di notai cittadellesi, fin dalla fine del Cinquecento erano approdati nella zona ora occupata dal centro giovanile parrocchiale, grazie al matrimonio di Ginevra Forlani con il condottiero Giovanni Stoppa, rimanendovi fino alla prima metà del XIX secolo. L’edificio residenziale di Giovanni Stoppa del fu Paolo era passato per testamento alla moglie Ginevra e da questa fu in seguito vincolato nelle sue ultime volontà del 1609, dando origine ad un legato perpetuo. L’edificio, per espressa volontà della testatrice, non poteva essere alienato se non a qualche ramo della famiglia e con il nipote Alessandro fu trasformato in casa dominicale, rimanendo ai Forlani fino alla prima metà dell’Ottocento. Nella seconda metà del XIX secolo, per cause ignote, la grande villa munita di portici fu demolita.

[21] Per la storia delle tombe antiche presenti nella chiesa antica e in quella in costruzione del Massari si veda C. MIOTTO, P. MIOTTO, 1998, cit. pp. 131-147. Nel 1729 si scava la tomba del cappellano Melchioro Miatello, sepolto verso la porta maggiore.

[22] ACVTV, Actorum, 1 gennaio 1737.

[23] Ibidem, b. 57, aa. 1740-1745, 2 novembre 1742.

[24] L’altare cambierà titolare solamente nel 1759, quando la pala sarà trasferita nel grande altare della Madonna della Cintura, nella quale nel 1774 troveranno ricetto le spoglie di S. Defendente traslate direttamente da Roma. Si veda in proposito: P. MIOTTO, L’antico culto di S. Defendente martire a San Martino di Lupari, in Storia e Cultura, I, n. 4, Ottobre-Dicembre 1991, pp. 82-86.

[25] ACVTV, Collationum, b. 58, aa. 1745-1750, 4 agosto 1745.

[26] La notizia riportata dall’Agnoletti e poi ripresa da più autori, anche di recente, secondo la quale il tetto della chiesa fu compiuto nell’anno 1740 é del tutto infondata e nasce da un’errata lettura degli Actorum da parte del canonico e dalla mera copiatura degli altri che sono seguiti.

[27] ACVTV, Collationum,  b. 57, 29 gennaio 1744. La richiesta del Marangoni era stata inviata all’inizio del mese.

[28] L’altare fu benedetto il 14 ottobre 1745.

[29] ACVTV, Collationum, 22 ottobre 1749.

[30] Ivi, Actorum, 2 aprile 1749.

[31] Ivi, Visite pastorali, b. 45, 10-13 maggio 1756.

[32] Ibidem, c. 580.

[33] Ibidem.

[34] Ivi, Actorum, c. 300, 5 febbraio 1755. E’ concessa licenza di demolire il vecchio battistero per la riedificazione di uno nuovo. Di fatto però, nel 1756, pur essendo stato edificato il nuovo battistero si continuava a conservare ancora quello antico.

[35] Le reliquie erano state condotte in paese da Roma verso la metà del Seicento dall’agostiniano Giampaolo Stoppa che le aveva regalate alla parrocchia.

[36] ACVTV, Visite pastorali, b. 45, 10-13 maggio 1756, c. 162, 13 maggio 1756.

[37] Ivi, Collationum, c. 86, 17 febbraio 1759.

[38] Ibidem, c. 114, 2 agosto 1759.

 
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Autore: storiadentrolamemoria

Insegnante, ricercatore d'archivio, da oltre 30 anni impegnato nella pubblicazione di volumi e saggi inerenti storie di paesi, fenomeni, persone e cognomi. Collaboratore di quanti intendono scambiare dati e informazioni sulla storia del Veneto e oltre.

3 thoughts on “La chiesa storica di S. Martino di Lupari opera di Giorgio Massari

  1. Mi piace proprio questo articolo sulla chiesa storica, anche perché è uno dei pochi monumenti edilizi ancora conservati a S. Martino. Continui così prof. Miotto.

  2. Buongiorno Paolo. Ho notato che sul sagrato della chiesa storica di San Martino, all’interno dell’acciottolato, c’è la scritta GCS ripetuta 2 volte. Mi sa dire cosa vuol dire?
    Carlo Agostini

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