Storia Dentro la Memoria

Tele d’autore nella chiesa parrocchiale di Villa del Conte (PD)

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 Don Carlo Ronconi: il vicario perpetuo della rinascita parrocchiale

La parrocchiale di Villa del Conte possiede uno scrigno di opere d’arte d’autore giunte in epoche diverse in paese, che meritano di essere riscoperte e valorizzate.  La riscoperta del nucleo più antico e prezioso è avvenuta in seguito al recupero della storia della parrocchia e del paese di Villa del Conte e della consultazione di inediti documenti d’archivio.[1] Delle numerose tele presenti nella chiesa del paese, in quest’articolo ci occuperemo delle più importanti, rinviando a un prossimo approfondimento le opere attribuite a Nicola Grassi e altri autori più recenti.

Artefice della più importante stagione artistica rimasta a Villa del Conte, fu il vicario parrocchiale don Carlo dott. Ronconi.[2] Nato il 22 novembre 1766 a S. Vito del Tagliamento ed entrato giovanissimo nell’ordine monastico benedettino di Montecassino, vi rimase fino al tempo della soppressione napoleonica, quando ritornò in famiglia dopo avere dismesso le vesti sacre a causa del decreto francese del 13 febbraio 1807.[3] Animato da profonda vocazione religiosa, chiese e ottenne di essere ammesso fra il clero secolare e di concorrere per la sede parrocchiale di Villa del Conte. Rompendo la tradizionale sequenza dei vicari di origine veneziana eletti fino allora dal capitolo delle monache di S. Giuseppe, il 20 luglio 1807[4] il nobile Ronconi vinceva il concorso, il 4 novembre era nominato vicario parrocchiale[5] e il 14 febbraio 1808 prendeva possesso della parrocchia e il 22 aprile vi entrava ufficialmente.[6]

Dimostrò subito una grande attenzione per l’attività pastorale che doveva avere il suo fulcro nella chiesa, la domus dei progettata e fatta realizzare dal vicario don Giuseppe Carrara fra il 1740 e il 1746. Ripercorrendo le orme dell’antica tradizione cattolica, il Ronconi concepì lo spazio della chiesa non solo come il luogo dove attingere i sacramenti e celebrare la messa, ma anche come percorso visivo di catechesi sul modello della biblia pauperum. La bibbia dei poveri analfabeti che conoscevano il cristianesimo dalle parole dei sermoni, dalla catechesi e soprattutto dall’osservazione dei cicli pittorici e scultorei che esaltavano le virtù vissute dai santi, da Maria indirizzando lo sguardo verso il punto centrale dell’edificio che era il tabernacolo.

Il Ronconi è ben cosciente del valore aggiunto che l’arte sacra comporta, memore del tempo trascorso ad ammirare le preziose opere d’arte custodite nell’abbazia dalla quale proveniva. A Montecassino aveva visto opere d’arte mirabili che avevano forgiato la sua sensibilità di religioso e pur non avendo visto i francesi rapinare l’abbazia di preziosi e opere d’arte perché era rientrato prima del 1810 in Veneto,[7] era rimasto colpito dalla forza che l’arte sacra sapeva imprimere allo spirito.

Approdato a Villa del Conte, non perse tempo. Trascorsi i primi tumultuosi anni a recuperare i privilegi persi dalla parrocchia nei confronti di alcune famiglie nobili del luogo, che si erano avvalse di immunità arbitrarie per sottrarsi dall’obbligo di contribuire decime e quartesi, il Ronconi riuscì anche a recuperare il filo parrocchiale interrotto nel lontano 1534 in seguito alla soppressione del monastero di S. Giuseppe che permise il recupero della prebenda.

Le opere d’arte acquistate dal Ronconi a Padova

La prima opera che il vicario acquistò per Villa del Conte è baldacchino di legno dorato che nel 1814 fece trasferire da Padova sopra l’altare maggiore.[8]

A seguito della demolizione della chiesa di S. Giacomo di Padova, il grande baldacchino situato in essa fu spostato nel vicino tempio sacro dedicato alla Beata Vergine del Carmine dove rimase fino al 1814.

In quell’anno il parroco e i fabbricieri di quella chiesa decisero di innalzare un nuovo e più ampio altare che prevedeva la demolizione del baldacchino. Grazie alle conoscenze maturate a Padova, il Ronconi lo acquistò per 500 lire, alle quali furono aggiunte altre 314 lire per il trasporto, il restauro e la sua erezione sopra l’altare maggiore di Villa del Conte. Il grande valore pecuniario del baldacchino era dovuto al fatto che il “cielo”[9] della corona posizionato sopra il tabernacolo era dipinto con una gloria di angeli[10] particolarmente bella e preziosa, attribuita alla scuola di Paolo Caliari, detto il Veronese.[11]

Per sancire ufficialmente l’innalzamento del baldacchino, avvenuto il 28 maggio 1814, il Ronconi stilò anche un memoriale a sfondo politico antifrancese,[12] dove, fra le altre cose, menzionava anche il pittore e restauratore padovano Girolamo Fantinato che si occupò del baldacchino e del dipinto per poco più di 220 lire.[13]

Pochi anni dopo, a causa dell’età dell’opera e del fumo delle candele, il baldacchino e il dipinto erano giudicati indecenti e così nel 1848[14] il restauro fu eseguito da Luigi Giacarelli di Vicenza, figlio dello scultore Niccolò, che aveva già confezionato un ostensorio dorato del valore di 2.000 lire per la parrocchiale comitense.

Nel biennio 1922-23, mentre era in corso una generale tinteggiatura della chiesa accadde un incidente che compromise per sempre l’opera. Ricorda il vicario Dal Prà: Si è dovuta levare la Corona sovrastante all’altare maggiore, di qualche valore, specialmente il dipinto che formava il cielo della corona stessa, e purtroppo durante l’operazione essa è caduta danneggiando l’altare e andando, vecchia come era, in tanti frantumi che non fu possibile ripararla, di modo che si dovette farne una nuova.[15]

Ma ritorniamo al Ronconi. Nel biennio 1820-21 decise di concludere l’acquisto di quattro dipinti importanti. In passato qualcuno ha scritto che queste opere provenivano da Montecassino ricordando la prima formazione benedettina del vicario, ma le cose non stanno così.[16]

Quando entra in parrocchia il 22 aprile 1808, il vicario non porta con sé alcun dipinto; la chiave di comprensione della vicenda va piuttosto ricercata nei rapporti parentali che il Ronconi ebbe con il nobile cugino Girolamo Molin. Questi possedeva una celebre collezione di opere d’arte distribuita fra Padova e Venezia assieme ai fratelli Pietro e Giovanni.[17]

Invaghito di alcune tele viste nella collezione, il Ronconi chiese al cugino di poterne acquistare un certo numero e nel luglio del 1820 le trattative erano già a buon punto.[18]

Gli scriveva, infatti, il Molin: Per conto de miei quadri voi ricercherete a mio fratello Pietro la nota che gli ho lasciato in sue mani, e voi fattevi distendere tutti i quadri di mia ragione, e fattane la scelta, consultando chi credete, e noi se la interemmo sul prezzo.

Il parente consigliava inoltre al Ronconi di non lasciarsi sfuggire la Coena Domini e l’altro quadro che rappresenta una confraternita che accompagna con torci accesi un confratello processionalmente in chiesa perché li riteneva i due quadri più addatta alla chiesa comitense.

Abbiamo qui un primo accenno ai due dipinti che il vicario acquisterà in seguito e dei quali solo uno, quello della Pietà, è ancora conservato a Villa del Conte nell’altare della cappellina laterale che prima dei restauri degli anni ’90 fungeva da sacrestia.

Il 2 settembre 1820[19], da Padova, il Molin rispondeva a una lettera del Ronconi nella quale il vicario si lamentava per una forte grandinata che aveva rovinato i vigneti e quindi la produzione di vino il cui guadagno sarebbe in parte servito per acquistare le tele.

Ma il Molin tranquillizzava il cugino con queste parole: Le sopragiunte discrete calamità non devono togliervi dal pensiero dall’acquisto de quadri per due motivi: uno perché coll’accrescere nella vostra chiesa le Sante Immagini avranno i vostri parrocchiani maggiori protettori a cui ricorreranno nei bisogni; in secondo luogo voi non avete a pensare per ora a pagamenti, ed anzi dopo che saranno collocati, e che si giudicherà dall’offerta che sarà, sono certo che sedducente, penserete pagarmi. Che ve ne pare! non è forse un  parlare meglio d’un libro stampato.

Finalmente persuaso, il Ronconi decideva l’acquisto di quattro dipinti: la Pietà, la Coena Domini, S. Scolastica e la Vergine con S. Francesco.

Il 14  ottobre[20] il Molin informava il cugino di aver fatto riporre in cassa bene condizionata, e colle maggiori avvertenze le quattro tele dipinte da voi trascelte. Ho lasciato commissione, che sia questa cassa consegnata al Bertoncello a Casarsa, perchè a voi sia innoltrata, essendo diretta al vostro nome… Ho pure unito altro fascio di saazze dorate, sufficienti, e più del bisogno per adornarle. Parleremo in seguito riguardo all’artista, che desiderate venghi pulirle vi accludo le notizie intorno a queste pitture tratte da accreditato scrittore.

E’ un vero peccato che non si riesca a rintracciare l’estratto delle notizie riguardanti i quattro quadri e l’autore che li aveva descritti, ma non si dovrebbe sbagliare pensando in parte al Ridolfi.[21] In ogni caso sono pervenute le attribuzioni certe dei quattro dipinti. Sono le annotazioni del Ronconi e i successivi restauri delle tele a confermare che, sono le parole scritte dal vicario nel 1826, nella tribuna e sopra il Coro vi sono 4 grandi quadri di penelli celebri cioè la Cena di Andrea Schiavon, la Pietà  di N.S.C. la B.V. di Giacomo Palma il Vecchio, e S. Scolastica del Spineda.

Il 7 marzo 1821[22] il Ronconi sborsava 750 lire al Molin per le quattro tele, il 16 marzo altre 300 lire, alle quali devono essere aggiunte 980 lire per il saldo, più altre 290 lire per il restauro e la posa in opera dei dipinti.[23]

La pulitura dei dipinti fu eseguita dai pittori Pietro Pauletti di Padova e Giovanni Panetti di Cittadella, i quali lavorarono nella chiesa comitense per dodici giorni venendo a costare 91 lire[24] nonostante che il Molin in data 19 marzo 1821[25] avesse proposto al Ronconi il Damin, pittore in principalità.

Per pagare l’ingente somma il Ronconi spese denaro proprio e impegnò i soldi racimolati con la vendita della seta prodotta dalla filanda comitense nel biennio 1820-21 e quello derivato dalle offerte della Cassella de Sacrestia nonché dalle oblazioni delle famiglie Cattapan e Zara.

Pala della Pietà, Ascanio Spineda (Treviso 1588-dopo il 1648), già nella tribuna della chiesa e ora nella cappellina della chiesa parrocchiale di Villa del Conte.

Pala della Pietà, Ascanio Spineda (Treviso 1588-dopo il 1648), già nella tribuna della chiesa e ora nella cappellina della chiesa parrocchiale di Villa del Conte.

L’ultima cena attribuita ad Andrea Meldolla, detto Schiavone (Sebenico 1500c – Venezia 1563), fu posta assieme alla Pietà, attribuita ad Ascanio Spineda (Treviso 1588-dopo il 1648), nella tribuna della chiesa. Della prima pala non è possibile asserire qualcosa poiché è dispersa. Della seconda, la pala della Pietà, è evidente il riferimento all’iconografia classica della Madonna che sorregge il corpo cadente del figlio defunto sopra le ginocchia. Lo sfondo superiore è reso da putti di angelo che sembrano voler aiutare Maria a sostenere il corpo di Gesù, particolarmente insistenti sulla destra, mentre sul margine sinistro s’intravvede il part inferiore del busto di un personaggio vestito di bruno (un santo?) perché la tela è stata piegata per essere adattata all’altarino che la contiene. Nella parte inferiore del dipinto è raffigurata un gruppo di confratelli con torce accese mentre accompagna un defunto e sulla destra tre quarti di busto di una donna, forse la vedova committente dell’opera. Sullo sfondo si celebra il funerale del defunto disteso sulla bara aperta oltre il quale si staglia lo scorcio di un palazzo che doveva richiamare ai contemporanei la residenza del morto. L’impianto sembra rievocare una classica rappresentazione di vita religiosa laicale ancorata a una confraternita del Suffragio o dei defunti, all’epoca già diffuse nelle chiese di città e nei villaggi. In questo caso forse è effigiata una confraternita di Venezia che intende evidenziare lo status di riconoscimento raggiunto dal sodalizio, che poteva avere un proprio altare ai piedi del quale in genere si trovava la tomba dei confratelli divisa nei due reparti maschile e femminile.

Pala della Vergine che affida il figlio a S. Francesco, Jacopo de Negreto detto Palma il Giovane (Venezia 1544-1628), chiesa parrocchiale di Villa del Conte.

Pala della Vergine che affida il figlio a S. Francesco, Jacopo de Negreto detto Palma il Giovane (Venezia 1544-1628), chiesa parrocchiale di Villa del Conte.

Nelle nicchie del coro, invece, il Ronconi fece collocare la Vergine con S. Francesco attribuita a Jacopo de Negreto detto Palma il Giovane (Venezia 1544-1628) e sulla parete opposta S. Scolastica attribuita al già menzionato Ascanio Spineda.

La pala del Palma è composita. In primo piano la giovane Maria seduta su una coltre di nubi consegna il figlio a S. Francesco attorniata da quattro angeli. La scena è ricercata nei colori delicati e nelle fattezze dei volti e delle mani che trasmettono familiarità e tenerezza. Sullo sfondo si apre un paesaggio ricco di alta vegetazione sulla sinistra mentre sulla destra lo sguardo e la profondità si allungano grazie all’effetto di una rupe rocciosa che scende, ai piedi della quale due frati francescani sono in conversazione. I due spazi sono delimitati da un arco a tutto sesto che con la scena della consegna del bambino Gesù a S. Francesco sembra richiamare il tema del presepe istituito per la prima volta dal santo a Greccio. La pala è firmata Jacobus Palma Fecit.

La tela con Santa Scolastica doveva essere particolarmente cara al vicario Ronconi, poiché gli ricordava la fondazione dell’abbazia di Montecassino da parte di S. Benedetto da Norcia. In primo piano è posta la santa con i simboli del suo ministero: il bastone pastorale che ricorda la sua dignità di badessa e la colomba bianca che il fratello Benedetto vide salire al cielo il giorno della morte della gemella. Il vero tema del dipinto tuttavia non è la santa, ma un episodio della vita di Benedetto ricordato dal biografo S. Gregorio Magno, noto come la simulazione di re Totila.[26] Sopra la scala di marmo grigio si vede S. Benedetto con i confratelli, uno dei quali trattine il bastone dell’abate, mentre vuole levare le vesti regali al falso re. Alle spalle del giovane si trovano i tre conti che seguono Riggo, il terzo dei quali osserva fuori campo lo spettatore, e sopra di loro in vesti scure, coperto il capo e con barba fluente vi è Totila che osserva la scena. La scena è elaborata e ricca di personaggi ben giustapposti fra loro con i colori delle vesti che distinguono i due mondi: quello dei consacrati e quello dei potenti in terra. Un cartiglio piuttosto evidente è collocato ai piedi della santa con la seguente iscrizione: Scolastica virgo soror S. Benedicti abbatis.

Pala di Santa Scolastica, S. benedetto e l'episodio del finto re Totila, Ascanio Spineda (Treviso 1588-dopo il 1648), chiesa parrocchiale di Villa del Conte.

Pala di Santa Scolastica, S. Benedetto e l’episodio del finto re Totila, Ascanio Spineda (Treviso 1588-dopo il 1648), chiesa parrocchiale di Villa del Conte.

Solamente tre di questi celebri dipinti si trovano ancora nella chiesa di Villa del Conte perché la Cena è finita in epoca imprecisata, ma probabilmente nel corso della decorazione avvenuta nel biennio 1922-23, in un museo padovano dove giace tuttora arrotolata e da restaurare.[27] L’opera, infatti, non compare nel catalogo delle opere d’arte comitensi fotografate nel 1944 e pertanto in quell’anno era già stata asportata.


[1] C. Miotto, p. Miotto, Il territorio di Villa del Conte nella storia. L’Abbazia di S. Pietro e S. Eufemia, S. Massimo di Borghetto e la Contea del Restello, Noventa Padovana 1994, pp. 475-199. Una successiva pubblicazione del 2002 (Chiesa parrocchiale di Villa del Conte) di fatto ha plagiato in toto quanto pubblicato dal sottoscritto nel 1994.

[2] Il titolo di vicario parrocchiale attribuito al parroco di Villa del Conte risale al 1534 e perdura fino a oggi. Ha origine dalla rinuncia alla parrocchia del parroco don Bernardino de Zanchiroli avvenuta in quell’anno, provocando il passaggio della prebenda di Villa del Conte nella disponibilità personale di papa Clemente VII che, con apposito decreto, aveva ordinato che tutte le chiese vacanti fossero di spettanza pontificia. Invece di nominare un nuovo rettore, a seguito delle pressioni delle monache agostiniane di S. Giuseppe di Venezia, che affermavano di non avere proventi sufficienti per vivere, con bolla del 22 marzo 1534 Clemente VII decretò di “perpetuamente unire, connettere, e incorporare” la chiesa di Villa del Conte al monastero veneziano. Le rendite annuali del beneficio, che allora ammontavano a 50 ducati d’oro, passarono alla badessa veneziana e la cura d’anime del paese fu affidata ad un rappresentante del monastero eletto nel capitolo delle monache che fungeva da semplice stipendiato e curatore degli interessi dell’ente monastico.

[3] Decreto napoleonico di soppressione degli ordini monastici.

[4] ACVPD, Parrocchie, Villa del Conte, doc. 24, 20 luglio 1807.

[5] Ibidem, doc. 23, 4 novembre 1807.

[6] Ibidem, doc. 1, 15 aprile 1818.

[7] A causa del decreto di soppressione degli enti monastici del febbraio 1807, il 21febbraio 1810 l’abate cassinese Aurelio Visconti era privato di ogni autorità dai francesi e il territorio soggetto alla diocesi benedettina era diviso fra le diocesi dei vescovi confinanti nonostante il pontefice continuasse a riconoscere il Visconti e la sua diocesi nello stato di fatto prenapoleonico.

[8] APVDC, b. 3 bis. Specifiche di spesa sostenute per l’acquisto, il trasporto e il restauro del baldacchino da porre sopra il tabernacolo dell’altare maggiore. Proclama stilato dal vicario Ronconi in occasione dell’inaugurazione del baldacchino.

[9] Capocielo.

[10]  Ibidem, b. 2 bis, fasc. A, inventario del 1907.

[11] Ibidem, b. 3, Visita pastorale del 1826.

[12] L’innalzamento del nuovo baldacchino, avvenuto il 28 maggio 1814, fu occasione di grande festa e il vicario perpetuo di Villa del Conte non mancò di redigere per l’occasione un curioso ed interessante proclama a ricordo dell’evento: Correndo l’anno di Nostra Salute 1814 mille ottocento quatordeci Giorno di Sabbato Vigilia della Pentecoste 28 maggio a Gloria di Dio, ed al maggior decoro di questo tempio fu inalzato questo Baldachino essendo Parroco e Vicario Perpetuo di questa chiesa D. Carlo Dr Ronconi Monaco Benedettino della Congregazione di Monte Casino provisto in essa con canonica istituzione dopo l’Ingiunto ed accatolico Decreto dell’ex Imperatore Napoleone Buonaparte fu Imperatore de’ Francesi, e Re d’Italia; Detronizato per Divin portento mediante le poderose armate di S.M. Imperatore delle Russie Alessandro I, Francesco II Imperatore d’Austria e Re de’ Romani Ridolfo III Re d’Inghilterra, Federico III di Prussia e tutti gli altri Principi di Germania che li 30 marzo di quest’anno entrarono in Parigi e costrinsero li 3 aprile l’usurpatore Buona parte ad abdicare a tutte le da Lui assunte sovranità e titoli rendendo il Regno di Francia al suo Legitimo Re Luigi Stanislao di Borbone che assume il nome di Luigi XVIII ed ai loro Legitimi Principi e altre Sovranità e stati e massimi rimettendo nella sua Città di Roma al possesso di tutta la sua Sovranità il Venerabile ed Immortal Pio VII P.P. che dopo esser stato colle più barbare ed inaudite maniere spogliato nell’anno 1809 della sua Sovranità e tradotto Prigione in Francia fu tenuto colà per il corso di quasi cinque anni ove pieno di umiltà fiducia e costanza stette aspettando la liberazione del suo esilio, come avenne per grazia di Dio, e poté nella sua grave età d’anni 72 correndo dai 21 marzo l’anno XV del suo penoso e glorioso Pontificato ristabilirsi ora in Roma a consolazione di tutta la cristianità, o massime dei monaci Cassinensi che gloriandosi di averlo avuto per confratello confidano di esser col di Lui autorevole mezzo rimessi nei Loro monasteri da cui il Barbaro Buonaparte li ha scacciati facendoli profughi sopra la terra. A perpetua memoria anco dei posteri si fa memoria che questo Baldachino era nella Chiesa Parrocchiale di S. Giacomo di Padova che ebbe il destino di tante altre in questi infelici passati tempi d’esser demolita e fu poi posto nel Tempio contiguo della B.V. de’ Carmini che fu sostituita parrocchia a S. Giacomo, e siccome adesso in quel vasto Tempio si sta erigendo un altare di molle stupenda non avea più posto così per opera de’ benemeriti Direttori di questa Parrocchia Antonio Petenuzzo Giovanni Cecato e Piero Lago e mi assistiti dalla Generosa Pietà di tutti unanimi i Parrocchiani ne abbiamo fatto l’acquisto e posto in questo  Luoco dopo averlo fatto restaurare dal Diligente Indoratore Sig.r Girolamo Fantinato di Padova attuale Organista in Loreggia. Dr. Carlo Ronconi fu esteso.

[13] Ibidem, b. 3 bis. Nota delle spese per il restauro del baldacchino.

[14] Ibidem, b. 2 bis, elenco delle suppellettili del 1861.

[15] Ibidem, Liber Chronicus, 1923, p. 45.

[16] Ibidem, p. 14, b. 4 bis, fasc. H, questionario per la visita pastorale del 1929, alla voce: III Oggetti preziosi, artistici o storici; b. 3, Visita pastorale del 13 dicembre 1953, alla voce: Pitture.

[17] Girolamo Molin con tutta probabilità apparteneva al medesimo ramo dei Molin dal quale era uscito Girolamo Ascanio (+ 1813), uno dei più famosi collezionisti d’arte della Venezia Settecentesca. Non stupisce quindi che il cugino del Ronconi potesse disporre di tele tanto pregiate. Per notizie sui Molin veneziani fra Settecento e Ottocento si veda a puro titolo indicativo: F. SCHRODER, Repertorio…, op. cit., vol. II, pp. 125-127.

[18] APVDC, b. 3, fasc. B, lettera del Molin al Ronconi del 27 luglio 1820.

[19] Ibidem, lettera del Molin del 2 settembre 1820.

[20]  Ibidem, lettera del Molin del 14 ottobre 1820.

[21] C. Ridolfi, Le Maraviglie dell’arte, ovvero Le vite degli Illustri Pittori Veneti e dello Stato, Venezia 1648. Il Ridolfi non accenna allo Spineda.

[22] APVDC, b. 3, fasc. B,, nota spese per i quadri.

[23]  Ibidem.

[24]  Ibidem, 51 lire “Al sig. Pietro Pauletti Pittore… 40 lire al sig. Gio: Panettti Pittor di Cittadella”.

[25] Ibidem, lettera del Molin del 19 marzo 1821.

[26] Scrive il biografo di S. Benedetto: al tempo dei Goti, il loro re Totila, avendo sentito dire che il santo era dotato di spirito di profezia, si diresse al suo monastero. Si fermò a poca distanza e mandò ad avvisare che sarebbe tra poco arrivato. Gli fu risposto dai monaci che senz’altro poteva venire. Insincero però com’era, volle far prova se l’uomo del Signore fosse veramente un profeta. Egli aveva con sé come scudiero un certo Riggo: gli fece infilare le sue calzature, lo fece rivestire di indumenti regali e gli comandò di andare dall’uomo di Dio, presentandosi come fosse il re in persona. Come seguito gli assegnò tre conti tra i più fedeli e devoti: Vul, Ruderico e Blidino, i quali, in presenza del servo di Dio, dovevano camminare ai suoi fianchi, simulando di seguire veramente il re Totila. A questi aggiunse anche altri segni onorifici ed altri scudieri, in modo che, sia per gli ossequi di costoro, sia per i vestiti di porpora, fosse giudicato veramente il re. Appena Riggo entrò nel monastero, ornato di quei magnifici indumenti, e circondato dagli onori del seguito, l’uomo di Dio era seduto in un piano superiore. Vedendolo venire avanti, appena fu giunto a portata di voce, gridò forte verso di lui: “Deponi, figliolo, deponi quel che porti addosso: non è roba tua!”. Impaurito per aver presunto di ingannare un tal uomo, Riggo si precipitò immediatamente per terra e, come lui, tutti quelli che l’avevan seguito in questa gloriosa impresa. Poco dopo si rialzarono in piedi, ma di avvicinarsi al santo nessuno più ebbe il coraggio. Ritornarono al loro re e ancora sbigottiti gli raccontarono come a prima vista, con impressionante rapidità, erano stati immediatamente scoperti.

[27] La notizia ci è stata gentilmente riferita dal Dott. Giancarlo Rampi di Padova.
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Autore: storiadentrolamemoria

Insegnante, ricercatore d'archivio, da oltre 30 anni impegnato nella pubblicazione di volumi e saggi inerenti storie di paesi, fenomeni, persone e cognomi. Collaboratore di quanti intendono scambiare dati e informazioni sulla storia del Veneto e oltre.

7 thoughts on “Tele d’autore nella chiesa parrocchiale di Villa del Conte (PD)

  1. Come per il caso della vicina chiesa di Sant’Anna Morosina, anche quella di Villa del Conte conserva opere che non derivano da committenza locale, ma sono giunte in paese per interessamento dei parroci del passato. Chissà che la loro valorizzazione non si limiti solo alla loro conservazione, ma anche alla diffusione della loro conoscenza. Sono molte le chiese dell’Alta Padovana e del Trevigiano che nascondono reperti artistici poco noti o comunque poco valorizzati. Un esempio su tutti la pala dapontiana Noli me tangere presente nella chiesa parrocchiale di Onara della quale anche in rete non si trovano notizie soddisfacenti.

    • Il problema è che talvolta sono proprio le fonti archivistiche ad essere di difficile accesso. Il caso di Onara mi pare rappresentativo; gli archivi della parrocchia e quello comunale sono problematici da consultare perché le autorità preposte li considerano quasi dei beni personali. Diversamente oggi si potrebbe sapere qualcosa di più sulla nostra storia.

  2. Prevede altri articoli sulla chiesa di Villa del Conte? Il suo volume sulla storia del paese del 1994 purtroppo è irreperibile nelle librerie.

  3. In questi giorni si fa un gran parlare di Borghetto, la sua storia e l’appartenenza a tre comuni. Perché Villa del Conte e Santa Giustina in Colle hanno solo una piccola parte di quel territorio e S. Martino di Lupari la fetta più ampia?

    • Borghetto luparense è maggiore delle porzioni comitense e di Santa Giustina in Colle perché nel medioevo tutta quella zona era soggetta alla pieve di S. Martino fino a Sant’Anna Morosina (già Villa Balda). Le successive modificazioni territoriali non hanno intaccato la sostanza. Per questo la parrocchia di Borghetto è sotto la diocesi di Treviso, come quella luparense, mentre la gurisdizione civile ricalca le vecchie divisioni dei comuni presenti prima della definitiva strutturazione napoleonica.

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